Che tipo di impresa vogliamo?

Marco Noi, I Verdi del Ticino

 

Da diversi anni, tra altre cose, seguo con particolare attenzione la politica economica cantonale. Il capo del DFE Christian Vitta tratteggia con estrema coerenza (questo gli va riconosciuto) un certo tipo di politica economica che tuttavia i Verdi non condividono.

Tale politica poggia sull’assegnare ai grandi capitali e alle persone che li possiedono un ruolo prioritario nel sostenere l’economia e la politica cantonale.

 

I rappresentanti politici di questo genere di economia non perdono occasione per far notare che pochi facoltosi contribuenti pagano oltre la metà dell’indotto fiscale cantonale e pertanto vorrebbero adeguare le condizioni quadro, soprattutto con defiscalizzazioni, per fare in modo di mantenere o addirittura incrementare nel nostro Cantone questo tipo di “players”.

 

Come sia possibile fondare un tessuto economico e sociale sano, affidandosi a soggetti (fisici o giuridici che siano) che fanno dell’utilitarismo e non della solidarietà il proprio principio di funzionamento è un vero e proprio mistero. Questo tipo di impostazione sdogana inevitabilmente il principio del proprio utile a scapito dell’aiuto reciproco e dello spirito comune. Se vale questo principio di funzionamento, in uno stato liberale non possiamo certo impedire ad ogni singolo di esercitarlo, “giocando” su ogni tipo di frontiera (fare la spesa su internet, oltre confine sia in merci che in manodopera) per ottimizzare, altro termine magico in questo tipo di economia, il proprio bilancio economico e le proprie rendite.

 

Su queste basi non si può però fondare e curare alcun “bene comune”, ma si ritorna ad una situazione dove il più forte, chi ha il “bottone rosso” più grande (ricordate Trump?), prepotentemente schiaccia il più piccolo. Non propriamente l’espressione delle nostre Costituzioni, federale e cantonale. Fa dunque sorridere quando la politica che rappresenta questo tipo di economia, accusa coloro che sostengono un salario minimo veramente dignitoso, di sottrarsi ad un presunto “patto di paese”, fondato quest’ultimo naturalmente al ribasso, sul diritto del più forte o del più scaltro al fine di mantenere le proprie rendite di posizione. Ma questa impostazione, ormai, è destinata a sparire. A meno che si voglia rispolverare il principio dell’uomo forte, padre-padrone.

 

Ma sappiamo già come va a finire. All’impostazione del grande imprenditore padre-padrone, i Verdi preferiscono dunque un’impresa del collettivo (vedi Frédéric Laloux, Reinventare le organizzazioni), di chi nella mutua contrattazione e riconoscimento sa valorizzare ogni singola persona che sente di poter contribuire all’impresa e allo spirito comune. Di chi sa adeguare le la propria organizzazione in funzione di un principio di altruismo e solidarietà e non di utilitarismo, esclusione e mortificazione. Chi pensa che queste siano vacue parole, vada a ri-leggersi i Preamboli della Costituzione federale e cantonale. Poi si chieda quale politica economica, sociale e ambientale sia consonante con tali principi.