La Svizzera riabilita la tortura e la condanna a morte. Per procura

di Ivan Miozzari

 

Ventidue persone, al Consiglio degli Stati, e centodue al Nazionale si allineano alla mozione di Fabio Regazzi per reintrodurre in Svizzera la pena di morte e la tortura. Il fatto che questa violenza sia somministrata in modo esternalizzato, cioè affidata ad altri Stati, non ne diminuisce la gravità.

Neppure il fatto che la mozione non sia applicabile concretamente in quanto viola sia la nostra Costituzione che il diritto internazionale - “ne ero consapevole” dichiara Regazzi al CdT - ne sminuisce l’oscenità.

 

Se non applicabile, quale scopo può avere oltre a quello puramente elettorale di avvicinare quella parte delll’elettorato forcaiolo delle destre? Dunque una poltrona a Palazzo, per il “nostro” Regazzi, vale l’iscrizione del nostro Paese nella lista degli Stati violenti. Con buona pace della “Moratoria universale della pena di morte” sottoscritta nel 2007 anche dalla Svizzera. Un’altra medaglia nera da appuntare sulle vesti di Helvetia.

 

Indegno per uno Stato di diritto, per un Paese civile. Un prezzo troppo alto per una poltrona alle camere federali. Regazzi si giustifica citando una dichiarazione di Keller-Sutter secondo la quale i terroristi svizzeri che si trovano all’estero devono essere giudicati sul posto. Dimenticando che l’ordinamento giuridico di molti Paesi non da garanzie per un processo equo. E che in molti stati la giustizia non è indipendente dalla politica. La stessa politica che definisce il senso del terrorismo in modo strumentale.

 

Per fare un esempio, Erdogan considera terroristi i curdi per il solo fatto di appartenere a questa etnia. Ma le situazioni quantomeno problematiche per la garanzia del rispetto dei diritti degli imputati sono innumerevoli e riguardano purtroppo ancora molti degli Stati a cui si fa riferimento.

 

Sono molte le convenzioni internazionali sottoscritte dalla Svizzera, tra queste la Convenzione di Ginevra (ONU) e la Convenzione contro la tortura (CEDU) che introducono il cosiddetto principio del non-refoulement. Il divieto cioè di estradizione o di rimpatrio di un individuo quando sussiste il rischio di tortura, di trattamento disumano o di qualsiasi altra violazione dei diritti umani.

 

Per il cattolico Regazzi, pur di salvare la sua cadrega - più che a rischio nelle prossime elezioni federali - il prossimo può essere anche torturato e ucciso. Amen.