Cuba sfida Trump

di Roberto Livi, corrispondente dall’Avana

 

Cuba sceglie le riforme per “un socialismo democratico, prospero e sostenibile”. La netta vittoria dei “sì” - 86% dei votanti-nel referendum del 24 febbraio per approvare la nuova Costituzione ha, infatti, un significato che passa i confini dell’isola.

Con una massiccia affluenza - attorno all’82% - alle urne i cubani hanno espresso prima di tutto la volontà di proseguire nella strada - iniziata otto anni fa da Raúl Castro - della riforme per modernizzare e rafforzare il sistema socialista cubano solo pochi giorni dopo che il presidente americano aveva messo in chiaro la sua linea strategica: farla finita col socialismo - “una teoria basata sull’ignoranza” - in tutto il subcontinente latino americano.

 

I punti di attacco dei falchi della sua Amministrazione erano chiari: abbattere con tutti i mezzi - compreso un intervento militare - il governo bolivariano del Venezuela, già quasi strangolato da una spietata guerra economica, e destabilizzare Cuba, isolandola e inasprendo le misure di blocco economico e finanziario in atto da sessant’anni.

 

Inoltre, più di sette milioni di cittadini cubani si sono recati alle urne il giorno dopo che l’autoproclamato “presidente ad interim” del Venezuela, di fatto nominato dalla Casa Bianca, Juan Guaidó aveva tentato una prova di forza con il governo e l’esercito bolivariano, usando il cavallo di troia dei cosidetti “aiuti umanitari” da far entrare in Venezuela. L’intento, chiaro e dichirato, della manovra era di provocare una divisione nelle Forze armate bolivariane, anche col rischio di una sanguinosa guerra civile e abbattere il governo socialista del presidente Nicolás Maduro.

 

Per chi vive a Cuba le immagini - spesso taroccate - degli scontri ai confini venezuelani, sia con la Colombia che col Brasile, di camion di medicinali incendiati e le fake news associate, non erano un fatto di cronaca lontano, ma rappresentavano una minaccia che li coinvolgeva direttamente. Non solo perché in Venezuela operano circa 24.000 collaboratori cubani, la maggior parte impegnati in missioni mediche e di alfabetizzazione, e nemmeno perché una caduta del governo bolivariano e la fine delle forniture di greggio che fornisce all’isola avrebbe un impatto drammatico in un’economia fragile come quella dell’isola - l’anno scorso la crescita si è fermata all’1%. Ma perché un successo, anche parziale, del golpe di stato di Guaidò avrebbe significano che un domani - forse neanche lontano - Donald Trump avrebbe potuto ripetere l’operazione nell’isola.

 

Per questa ragione il presidente Miguael Díaz-Canel, dopo aver votato la mattina del 24, ha dichiarato che il successo del referendum approvativo della nuova Costituzione avrebbe rappresentato “un ulteriore sconfitta” dei piani sia di Guaidò che di Trump. “Il voto per la nuova Costituzione - ha affermato - è un voto contro il processo in corso di restaurazione imperiale e capitalistica in America latina e in difesa della dignità del continente”.

 

Redatta inizialmente da una speciale commissione di esperti presieduta dall’allora presidente Raúl Castro, la prima stesura della nuova Costituzione è stata sottoposta, da agosto a novembre del 2018, alla discussione in 133.000 riunioni effettuate in quartieri, scuole, posti di lavoro, caserme e nelle campagne dove hanno partecipato milioni di cittadini e sono state espresse centinaia di migliaia di proposte di modifiche. Il testo definitivo, approvato lo scorso dicembre dall’Assemblea nazionale del Poder popular (parlamento cubano unicamerale) e sottoposto a referendum, è composto da 229 articoli, 11 titoli, due disposizioni speciali - 13 transitorie e due definitive - e incorpora 760 emendamenti derivati dalle proposte formulate nelle assemblee di base, che in questo modo hanno modificato il 60% del testo iniziale. E’ dunque il frutto di una lunga e massiccia consultazione popolare, una forma della “democrazia partecipativa di base che contraddistingue i processi elettorali” dell’isola, secondo il presidente dell’Assemblea nazionale Esteban Lazo Hernández.

 

La Carta Magna approvata stabilisce che “Cuba è uno Stato socialista di diritto e giustizia sociale, democratico, indipendente e sovrano”. Viene confermato (art. 5) che il Partito comunista “unico, martiano, fidelista, marxista... è la forza politica dirigente superiore della società e dello Stato”. Come pure il controllo statale dei mass media. Rispetto alla precedente Costituzione (del 1976) il nuovo testo prevede un allargamento dei diritti individuali (tra l’altro “l’accesso all’informazione pubblica”, e misure garantiste anche di genere), una serie di modifiche nella struttura statale (limite di cinque anni delle massime cariche, divisione dei poteri con la figura del Presidente della Repubblica e del Primo ministro), vengono riconosciute diverse forme di proprietà dei mezzi di produzione (statale socialista, cooperativa e privata) e una serie di garanzie per gli investimenti stranieri.

 

 

 

La sconfitta di Guaidó e di Trump

 

Per il presidente Díaz-Canel la nuova Carta Magna “aiuta il perfezionamento del socialismo cubano” e “riconosce la diversità e nuove forme di gestione che contribuiranno allo sviluppo dell’economia cubana”. Soprattutto costituisce il documento giuridico e politico fondamentale per attuare - secondo le parole di Raúl Castro - “il trasferimento alla nuova generazione (di leaders) della missione di continuare la costruzione del socialismo e garantire così l’indipendenza e la sovranità nazionale”.

 

Dal punto di vista economico, si tratta di una serie di strumenti giuridici il cui scopo principale è fornire le basi per modernizzare l’isola e far finalmente decollare l’economia liberandola (parzialmente) dell’inefficienza di una pervasiva e asfissiante burocrazia e con un’apertura (regolata) al mercato, alla proprietà privata e agli investimenti esteri ritenuti “strategici”.

 

A livello politico, pur riaffermando il ruolo di “forza dirigente superiore” ed unica del Pc, fornisce una serie di garanzie per la decentralizzazione del potere - soprattutto a livello amministrativo - e maggiore spazio alla società civile.

 

 

 

Questa Costituzione, un compromesso

 

Per lo storico e politologo Enrique López Oliva “è un testo di compromesso dovuto appunto alla volontà e necessità che la transizione verso una nuova generazione di leaders avvenga nella continuità di linea rispetto alla generazione che ha fatto e vinto la Rivoluzione. Un compito non facile. Per questo la nuova Costituzione rischia di non soddisfare nè la vecchia guardia nè i fautori di riforme che garantiscano tempi più veloci di ripresa economica e maggiore decentralizzazione del potere”.

 

Nell’attuale panorama internazionale - politico ed economico - però “la nuova Carta Magna rappresenta uno strumento necessario anche se forse non ancora sufficiente” per “far progredire le riforme sociali e ed economiche e, in un futuro che spero prossimo, anche politiche”.

 

L’opinione di López Oliva è condivisa anche da altri intellettuali cubani e artisti che pur critici - specie in tema di libertà di espressione e di informazione - hanno appoggiato la massiccia campagna “Io voto sì” attuata nelle settimane precedenti al referendum. Che l’approvazione della nuova Carta Magna sia il primo passo e che per proseguire le riforme sia necessario implementarla con una serie di nuove leggi - in campo sia economico sia sociale, ad esempio sul Diritto di famiglia che riguarda il matrimonio ugualitario previsto nel primo testo della Costituzione e poi depennato- lo ha confermato lo stesso Díaz - Canel annunciando che già nella prossima riunione dell’Assemblea nazionale verrà portato alla discussione un primo pacchetto di proposte di leggi.

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