Servono più risorse per combattere usura e caporalato

di Federico Franchini

 

Lo scorso 25 aprile, il procuratore pubblico ticinese Moreno Capella ha rinviato a giudizio due dirigenti della Elia Costruzioni Sa. Avrebbero sfruttato 18 operai, sottopagandoli e approfittando del loro stato di bisogno. Pochi giorni prima, l’emissione Falò ha svelato i soprusi che hanno colpito alcuni lavoratori attivi sul cantiere AlpTransit. Casi isolati? Si direbbe di no.

Stando ai numerosi esempi raccolti da area quello che emerge è semmai un sistema generalizzato in cui le responsabilità non si limitano a chi, in fondo alla catena dei subappalti, commette i taglieggiamenti. In un sottobosco torbido, in cui impera la “guerra dei prezzi”, committenti pubblici e privati e rinomate imprese incassano nell’ombra. Contribuendo di fatto a incrementare il livello dello sfruttamento.

 

 

Spiega Enrico Borelli, segretario regionale di Unia Ticino: «Quelli a cui si fa riferimento sono solo i più recenti di una serie di casi che siamo riusciti a intercettare negli ultimi anni e che danno un quadro di quello che è il degrado del nostro mercato del lavoro. Non si può più parlare di casi isolati. I casi emersi sono la punta di un iceberg di un sottobosco che diventa sempre più torbido e nel quale vanno in scena abusi che sono sempre più reiterati e strutturati. Tutto ciò ha delle gravi conseguenze non solo per i lavoratori oggetto di abusi gravissimi: a pagarne le conseguenze è l’intero tessuto economico costituito da ditte che rispettano le norme legali e contrattuali e che subiscono una spietata concorrenza sleale».

 

 

 

Quando, in Ticino, si comincia a parlare di “malaedilizia”?

 

Lo spartiacque è stata nel 2011 la vicenda del Lac. Una vicenda analoga a quelle emerse di recente e che ci vide riuscire ad organizzare i lavoratori, convincendoli a fare varie deposizioni davanti a un procuratore. Di fatto questa triste vicenda avviò il nostro impegno, organizzato a più livelli, per cercare di contrastare le logiche della malaedilizia. In quell’occasione Unia aveva indotto uno sciopero politico, un’astensione dal lavoro per denunciare la situazione che stava affiorando e che ci preoccupava non poco. Vi fu una manifestazione che coinvolse duemila lavoratori e che terminò di fronte al Ministero pubblico a Lugano.

 

 

 

In che modo è stato poi strutturato il lavoro sindacale?

 

Il sindacato è la realtà che meglio può entrare in contatto con i lavoratori e guadagnare la loro fiducia. È con la nostra presenza costante sui luoghi di lavoro che abbiamo cominciato a subodorare pratiche illegali e osservato determinati fenomeni per contrastare i quali occorre organizzare il più possibile i lavoratori. Siamo l’organizzazione che si è spesa di più su questo terreno e che ha avviato decine di casi collettivi di rilievo, non solo nell’edilizia e nell’artigianato ma anche nel terziario. Il nostro è un intervento che passa anche dalle discussioni nell’ambito delle comunità contrattuali e da tutta una serie di segnalazioni che abbiamo fatto agli attori istituzionali. Penso alle discussioni avute per inasprire la Lepicos – la legge sull’esercizio della professione di impresario costruttore – che siamo riusciti ad estendere ai ferraioli. Senza contare che abbiamo rafforzato la nostra collaborazione con la Procura.

 

 

 

Come valuta questo lavoro con il Ministero pubblico?

 

Vi sono stati dei risultati positivi e abbiamo una buona ed efficace collaborazione. Abbiamo contatti continui con la cellula di coordinamento della Teseu. L’ex pg John Noseda ha esteso agli abusi nel mondo del lavoro il raggio d’azione di questa cellula investigativa attiva nella lotta alla tratta di esseri umani. Tutto ciò ci ha fatto fare dei passi in avanti. Ma non è ancora sufficiente a fronte di una situazione che appare sempre più delicata e fuori controllo. Siamo convinti che gli abusi gravi di cui sono vittime i salariati siano molti di più di quelli che siamo riusciti ad intercettare. Complice l’oggettivo sovraccarico della Procura, diverse pratiche hanno subito dei ritardi che ne hanno compromesso l’esito. Perciò riteniamo che occorra poter disporre all’interno del Ministero pubblico di una sezione che si occupi dei reati che vanno in scena sui luoghi di lavoro. Un’unità che, oltre ad accelerare il disbrigo di pratiche inevase, permetterebbe di sviluppare le competenze interdisciplinari e un approccio proattivo da parte degli inquirenti.

 

 

 

Come sindacato, quali sono le principali difficoltà?

 

Abbiamo a che fare con situazioni torbide e pericolose. La difficoltà principale è data dal timore che i lavoratori hanno nel denunciare queste pratiche. Non solo si teme il licenziamento, ma spesso si ha paura di ritorsioni. A meno di rare eccezioni, i lavoratori non sono protetti nell’ambito delle procedure penali dato che le controparti accedono ai loro nominativi. Una nostra rivendicazione è quella di meglio tutelare i delegati sindacali che sono al fronte. Questi lavoratori non possono denunciare gli abusi poiché si espongono a tutta una serie di rischi. Ricordo poi che nel caso dell’agenzia di sicurezza Argo 1 i lavoratori che hanno permesso di avviare questa inchiesta si sono visti pubblicati i loro nomi in prima pagina sul principale quotidiano del Cantone. Questa situazione non ci ha facilitato il compito: il timore di finire sotto le luci della ribalta non stimola certo i lavoratori a farsi avanti.

 

 

 

Dal punto di vista normativo andrebbe modificato qualche aspetto?

 

La crisi e la necessità spinge i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro indecorose e di bieco sfruttamento. Ecco che per potere contrastare con efficacia questi fenomeni bisognerebbe cambiare i presupposti per il riconoscimento della fattispecie d’usura. Se da un lato la differenza salariale è facile da provare, dall’altro, nonostante l’evidente stato di bisogno nei quali versano i lavoratori vittime di reato, questo stato di bisogno non viene riconosciuto nell’ambito della procedura penale. Il reato d’usura tende così a cadere.

 

 

 

Spesso la ditta che taglieggia è l’ultimo anello di una catena di subappalti. Non si dovrebbe agire anche nell’ambito della responsabilità solidale?

 

Tutta una serie di rami professionali, dalla posa del ferro al gesso, sono ormai completamente deflagrati da un’irresponsabile rincorsa verso il ribasso dei prezzi. La clausola di responsabilità solidale voluta dal Parlamento federale è però farraginosa e complicata, fondamentalmente inapplicabile. In questo senso è molto difficile agire richiamando questo aspetto anche se stiamo cercando di testare il terreno per fare in modo di allargare il campo delle inchieste.

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