Oltre il femminismo. Intervista a Franca Cleis

di Red

 

Vi proponiamo questa interessante intervista che Sabrina Riccio e Manuela Cattaneo hanno fatto a Franca Cleis in vista della sciopero della donne del 14 giugno e pubblicata sul nostro ultimo Quaderno nella rubrica "Oltre il femminismo".

 

 

 

Per la nostra rubrica in questo numero abbiamo scelto di intervistare Franca, militante femminista, che ci apre un orizzonte del cammino, non sempre lineare e comunque duro, che fonda la militanza femminista nel nostro Cantone. Con le sue parole Franca ci porta fino alle motivazioni dello sciopero generale delle donne del 1991 e più in là, fino ai nostri giorni, quando ci troviamo di nuovo in una situazione di emergenza, alla vigilia di un nuovo sciopero generale delle donne. Ed ora, come allora, riecheggiano le stesse voci, che vogliono delegittimare questo grande movimento, ed ora come allora, non le ascolteremo. Il 14 giugno 2019 è importante partecipare, più importante di quello che si pensa.

 

Sabrina Riccio e Manuela Cattaneo

 

 

 

 

Franca Cleis

 

Anni ’70. Nel 1971 vivevo una situazione famigliare difficile e, come donna sposata, non avevo diritto a insegnare (cosa che non sapevo) mentre, per me, in quel momento, era ciò che contava più del voto. Poi, all’inizio di settembre, improvvisamente, mi venne “offerto” di accettare l’unico posto rimasto scoperto (avevo assoluto bisogno di guadagnare) perché al concorso indetto a Chiasso ero stata l’unica candidata. Mi trovai così improvvisamente proiettata nella Scuola per apprendisti di commercio (quella che avevo frequentato negli anni 1955-1958 “medaglia d’oro”) con 250 tra allievi e allieve e in pieno ’68! Fu come entrare in miniera… una galleria senza uscita, una gabbia di leoni! Altro che voto!

 

 

 

Il cammino che ha portato all’introduzione del diritto di voto ed elezione per le donne il 7 febbraio 1971 è stato lungo e difficile, quali sono i suoi ricordi dei giorni di lotta prima e dopo il risultato delle votazioni?

 

La mia generazione (1940) non ha avuto il tempo di “lottare”. Invece la mia maestra di Scuola Maggiore, Luisa Rovelli, era la presidente del Movimento per il voto alle donne. Donna anziana, molto provata fisicamente e moralmente, era all’ultimo anno d’insegnamento (1954). Riuscì comunque a entrare in Consiglio comunale a Chiasso, nel 1971, ma forse solo per un anno. Mi ricordo che ci fece studiare quasi a memoria un opuscolo intitolato Il libro del cittadino del Calgari, uscito solo nel 1948. Avevo imparato bene: potere esecutivo e potere legislativo, sia a livello comunale, cantonale che federale. Ma la questione del voto non mi aveva sfiorato. Forse era proibito parlarne in classe (?). Dell’impegno della Maestra Rovelli per l’ottenimento del voto (e delle altre come lei) ho saputo e capito solo quando, negli anni ’80 ho cominciato ad occuparmi di femminismo e di storia delle donne. Ho così scoperto che Christine di Pizan, nel 1405, aveva iniziato a rivendicare i diritti per le donne, rispondendo alla misoginia del tempo e che la tanto vantata Rivoluzione francese ci aveva escluse da tutto, dopo che le donne avevano partecipato e lottato molto attivamente durante la sollevazione popolare per rivendicare i loro diritti. Il manifesto Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne che esigeva i pieni diritti legali, politici e sociali delle donne, redatto il 5 settembre 1791 da Olympe de Gouges, fu completamente inascoltato e l’ideatrice… ghigliottinata!

 

 

 

A distanza di 10 anni, nel 1981 vi fu un’altra votazione popolare per l’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna. A oggi il discorso e la lotta per il raggiungimento di questa parità sono ancora molto sentiti e di attualità. Perché secondo lei il ruolo della donna fa fatica a emergere all’interno della società?

 

Potrei risponderle così: il lavoro casalingo. il lavoro di cura, il volontariato, ecc, sono lavori che le donne svolgono “per amore”. E l’amore non è moneta, (anche se per la società è un grande profitto) per cui queste prestazioni considerate “senza valore” non vengono calcolate nel Prodotto interno Lordo (PIL) e quindi sembrano non esistere. Il loro calcolo invece cambierebbe molte cose… forse anche rispetto alla parità salariale.

 

 

 

Ci sono stati errori di percorso da parte delle donne?

 

Secondo me sì. Si è creduto che con l’ottenimento del diritto di voto, con l’art. 4 della Costituzione e con gli Uffici cantonali e federali per l’uguaglianza si sarebbero risolti tutti i problemi. Ma ciò non è avvenuto perché la strada della legalità è stretta tra muri di piombo… maschili.

 

 

 

Perché la donna lotta ancora per trovare nella società un’immagine che sia la sua, invece degli stereotipi noti?

 

C’è una bella vignetta di Pat Carra (di parecchi anni fa) nella quale due donne si interrogano. La prima afferma: “Donne e uomini devono essere uguali”. E l’altra risponde: “Uguali a chi?”. Sta tutto lì. L’uguaglianza confonde le carte, perché se vogliamo essere come gli uomini distruggiamo la nostra identità, e assumendo la loro per “farci avanti” diventiamo come loro ci immaginano e ci hanno sempre immaginati: “il sesso debole”, “la prostituzione è il mestiere più vecchio del mondo”, “chi dice donna dice danno” ecc.

 

 

 

Il 14 giugno 1991 abbiamo vissuto il primo sciopero delle donne, una delle più grandi mobilitazioni sociali degli ultimi decenni. Lei come si è attivata a quel tempo e quali ostacoli ha incontrato per far capire il senso di quella mobilitazione?

 

Io non sono mai stata iscritta a nessun partito politico, perché ho sempre pensato che anche quello più a sinistra è una parrocchia maschile al cui interno, è difficile muoversi in modo autentico. Così, tutta la vita sono stata, come si diceva dal ’68, una femminista extra-parlamentare. Ho partecipato a molte lotte anche prima del 1991, alcune andate a buon fine, altre andate male. (E se ve le dico è perché me lo chiedete e non per vantarmi.) La prima lotta fu a Balerna (anni 60) contro la fabbrica dell’amianto (bene). A Chiasso (anni 80) quella per la cantonalizzazione delle scuole dove insegnavo che erano semi-private (bene) e quella per l’istituzione degli Asili Nido (benino), poi quella per l’educazione sessuale (male). Negli anni 80 vi fu la collaborazione con l’Organizzazione per i Diritti della Donna (redazione di “Donnavanti). Negli 80-90 ho studiato la produzione culturale delle donne del passato, che sono completamente fuori dalla storia ufficiale e ho pubblicato i relativi libri (bene). Negli anni 2000 ho collaborato con l’Associazione Dialogare-Incontri per la diffusione della cultura femminile (bene: grazie Osvalda) e ho promosso, a livello cantonale, in collaborazione con la Cancelleria cantonale, la “femminilizzazione del linguaggio” (mi pare bene). Nel 2005 ho ideato e co-fondato gli Archivi Riuniti delle Donne (bene) dopo essere stata per 12 anni (come indipendente) nella Commissione cantonale per la condizione femminile. Lì ho cercato di far entrare nelle scuole il “sapere della differenza sessuale” (male)… naturalmente ho sostenuto lo Sciopero del 1991 e sosterrò anche il prossimo. Però, non ho mai sfilato alle manifestazioni in strada perché non ci riesco.

 

 

 

Come spiegherebbe alle nuove generazioni di donne il significato degli anni di lotta per il raggiungimento della parità? E cosa resta ancora da fare per noi donne?

 

Io cancellerei la parola “parità” e la sostituirei con l’affermazione che la libertà femminile è azione, da parte di ognuna di noi, ogni giorno, ieri, oggi, qui e ora, consapevoli della propria forza e della propria identità. Sostengo e collaboro (anni ’90) con il Gruppo delle Donne per la Pace… e considerato come va il mondo posso affermare tranquillamente: il maschile non è un più, e il femminile non è un meno! Vogliamo la pace e tutto il resto! Forza ragazze! È sempre l’ora giusta!

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