Le borse di studio non sono un privilegio, sono un diritto

Massimiliano Ay, Partito Comunista

 

Di fronte ad una situazione finanziaria non più critica come negli anni passati (quantomeno stando a quello che la maggioranza del parlamento e il governo insistevano nel voler far credere tramite la politica delle “casse vuote”) sarebbe stato il caso di rafforzare il sostegno finanziario al diritto allo studio, su cui in passato si è risparmiato in maniera inopportuna.

Era questo l’auspicio che avevo espresso in occasione del voto sull’ultimo Preventivo del Cantone, ribadendo la posizione del Partito Comunista volta ad abrogare la conversione delle borse di studio in prestiti, una scelta che avrebbe garantito una mobilità sociale maggiore.

 

Il Consiglio di Stato, su proposta del DECS guidato da Manuele Bertoli, era poi andato nella giusta direzione dando seguito almeno parzialmente a quanto rivendicato con la petizione lanciata dal Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) e corredata di oltre duemila firme, aumentando il tetto massimo per gli aiuti allo studio e riducendo da un terzo a un decimo la quota da restituire allo Stato dopo un master. Purtroppo, terminata la campagna elettorale, i partiti borghesi hanno preferito sfiduciare i loro stessi Consiglieri di Stato con la solita ambiguità: accanto a una condivisibile decisione relativa all’estensione del limite massimo delle borse di studio a 20’000 franchi annui, si peggiora, e di tanto, un altro aspetto, aumentando la quota di restituzione dei contributi ottenuti per un master.

 

La maggioranza composta dai partiti borghesi spinge insomma a identificare come privilegi quelli che invece sono diritti, pretendendo che si richieda a chi beneficia di una borsa di studio “una responsabilizzazione”, la quale invece non va evidentemente pretesa da chi di soldi ne ha a sufficienza. La Costituzione del nostro Paese sancisce il diritto allo studio, ma il diritto allo studio non esiste, come non esiste l’uguaglianza di possibilità, se lo Stato non interviene per sopperire alle iniquità con cui ampia parte della popolazione è confrontata nella nostra società. E questo, si badi bene, era un principio dei primi liberali-radicali di questo Cantone!

 

Gli studenti che richiedono una borsa – spiega bene il SISA – “non cercano regali da parte dello Stato ma semplicemente di far valere un proprio diritto”. In conclusione mi si permetta un cenno alla fastidiosa retorica moralista della maggioranza parlamentare sulla “buona abitudine di svolgere qualche lavoretto a fianco del tempo trascorso sui banchi”: ma quale buona abitudine? Si deve parlare di necessità, perché altrimenti non si arriva a fine mese! A dover praticare questa “buona abitudine” sono però solo gli studenti che non hanno sufficienti disponibilità finanziarie e provengono da famiglie di origine sociale più debole. Questo è un modo retoricamente bello per giustificare le disparità di classe che continuano ad attraversare questo Paese e che non si vuole affrontare sul serio, neanche quando i soldi ci sono! C’è chi si può dedicare solo agli studi e chi no, chi deve pensare al proprio sostentamento, a far quadrare i conti e magari anche preoccuparsi del proprio indebitamento con lo Stato al termine dell’università con conseguenze anche sui risultati scolastici.

 

La si finisca con il riempirsi la bocca di proclami sull’utilità dell’istruzione durante la campagna elettorale, se poi ogni volta che si potrebbe fare qualcosa per la democratizzazione degli studi, si tira il freno a mano.