In Ticino salari sempre più bassi. E la classe politica resta a guardare

di Red

 

La scorsa settimana, l’Ufficio federale di statistica ha presentato la Rilevazione svizzera della struttura dei salari 2016. Ne emerge un quadro estremamente preoccupante per il nostro Cantone, in particolare per quel che concerne il dilagante fenomeno del dumping salariale. Persino il filogovernativo Corrierone ha dovuto titolare che “Il Ticino è una terra di bassi salari”.

 

Malgrado la situazione sia conosciuta da anni e sempre più famiglie arranchino per arrivare alla fine del mese, le priorità della nostra classe politica sembrano essere altre. La conferma è arrivata alcuni giorni fa con la presentazione del messaggio del Consiglio di Stato (sciaguratamente sostenuto anche da Manuele Bertoli) che prevede una nuova e drastica riduzione delle imposte a favore delle grandi società che realizzano utili.

 

Soffermiamoci su alcuni dati. Nel 2016, il livello salariale in Ticino è del 14.4% inferiore al salario mediano svizzero. Sul totale dei posti di lavoro presenti in Svizzera, in Ticino se ne registra il 4.1%; peccato però che sul totale dei posti di lavoro a basso salario, la percentuale salga al 9.9%. La percentuale di impieghi a basso salario all’interno del cantone si attesta al 24.7%, il doppio rispetto alla media nazionale. Sono dati tristemente impressionanti che confermano che la nostra è oramai una zona franca nella quale l’economia ha avuto uno sviluppo basato sul dumping e sulla precarietà.

 

Per contrastare questa situazione drammatica, che mina la coesione sociale e alimenta esclusione e povertà, ci vorrebbero delle risposte urgenti e il Governo dovrebbe fare dell’agenda sociale la sua assoluta priorità. E invece il nostro Consiglio di Stato propone di fissare il salario minimo tra i 18.75 e i 19.25 franchi all’ora, un salario che genera miseria e che non solo non combatte il dumping, ma addirittura lo alimenta. Ma ancora peggio fa il Parlamento cantonale, che non ha ancora avuto la dignità politica di dibattere in aula di questo tema, procrastinando così l’introduzione del salario minimo legale malgrado la maggioranza della popolazione ticinese abbia accolto il suo principio diversi anni fa.

 

E così, tra politiche di defiscalizzazione, scelte scellerate in materia di politica economica (si pensi a quanto sta avvenendo nel settore della moda solo per citare un esempio), insediamenti di aziende a basso valore aggiunto e nessuna volontà di dare risposta alle preoccupazioni e alle angosce di chi arranca per arrivare alla fine del mese, il nostro Cantone si sta trasformando in un vero e proprio eldorado per imprenditori senza scrupoli che si arricchiscono sulla pelle dei propri dipendenti.

 

Che dire poi dell’AITI, l’organizzazione padronale ticinese che si permette di ricorrere contro i salari da 3’000 franchi perché li giudica eccessivi, e del suo presidente Fabio Regazzi, che ha già avuto modo di commentare che la situazione non gli sembra poi così grave? Alla miseria dei dati statistici, si aggiunge la miseria di certi politici…

 

Ah già, ma da noi certe cose non succedono!