Andrea Stephani, I Verdi del Ticino
Un paio di settimane fa, diversi giovani del Coordinamento cantonale Sciopero per il clima hanno manifestato di fronte ai Municipi di alcuni Comuni ticinesi, chiedendo agli enti locali di dichiarare lo stato di emergenza climatica, forti della convinzione “che l’unico modo per affrontare una crisi che colpirà l’intero pianeta sia quello di agire in ogni campo e a tutti livelli”.
Con la consapevolezza che i grandi cambiamenti e le rivoluzioni globali partono sempre da una presa di coscienza individuale e da piccoli gesti quotidiani, i giovani dello Sciopero per il clima domandano dunque ai Comuni di vestire i panni del maresciallo La Palisse è dichiarare che la situazione climatica attuale non è (più) sostenibile e che, anzi, siamo forse di fronte all’ultima occasione per invertire la rotta e salvare l’intero Pianeta da una catastrofe tanto evidente (si pensi a quello che è successo quest’estate, dagli incendi in Siberia alla deforestazione in Brasile, dallo scioglimento del permafrost in Groenlandia al funerale del ghiacciaio Okjokull in Islanda) quanto preannunciata. Si tratta però di un gesto puramente simbolico: tale presa di posizione, infatti, non comporta di per sé alcuna conseguenza diretta nella gestione dei Comuni.
Al di là dell’efficacia della promulgazione dello stato d’emergenza, qualcuno ha sollevato dubbi sulla scelta dell’interlocutore individuato dai giovani: ha forse senso chiedere ad un Comune, ovvero al livello istituzionale più basso, quello con l’autonomia legislativa più limitata dalle normative cantonali e federali, di proporre soluzioni ad un problema globale?
La risposta non può essere che una: certo che sì. I Comuni sono le istituzioni più vicine alla popolazione e al territorio; erogano servizi e promuovono (o dovrebbero farlo) una migliore qualità di vita per i propri cittadini garantendo incentivi e sussidi in diversi settori: dal risanamento energetico degli immobili alla promozione del Trasporto pubblico. Oppure pensiamo ai divieti concernenti l’impiego delle plastiche monouso durante le manifestazioni, introdotto da alcuni Comuni e ora diventato un tema cantonale e nazionale. Anche l’arredo urbano è un altro esempio di come gli enti locali possano diventare protagonisti di questa auspicata inversione di tendenza; troppo spesso esso è considerato unicamente in una prospettiva estetica, quando invece, con un approccio più ecologico, potrebbe davvero rappresentare un primo baluardo contro il surriscaldamento climatico. Aree verdi, giardini verticali o itineranti, orti urbani: i vegetali assorbono il CO2, proteggono la biodiversità salvaguardando gli habitat vitali degli insetti e, grazie all’ombra che offrono gratuitamente, hanno un’importanza funzione termoregolatrice, soprattutto nei periodi di calura.
La Città di Sion – quella la cui temperatura è aumentata maggiormente nel periodo tra il 1990 ed il 2010 – è senza dubbio uno dei Comuni svizzeri maggiormente all’avanguardia in materia di riqualifica ecologica degli spazi pubblici. Basti pensare alla trasformazione di Cours Roger Bonvin, una superficie di 14'000 metri quadrati in cui sono stati piantumati 700 alberi e che è diventata un luogo di incontro e di refrigerio durante le sempre più torride estati vallesane. Il costo di questa riqualifica? Un anno di lavori e circa 40 franchi al metro quadrato. Il tutto all’insegna dello slogan KISS: “keep it simple and sexy”!
Ad immagine del capoluogo vallesano, un Comune che vuole davvero definirsi ecofriendly e che riconosce la situazione di emergenza climatica planetaria può dunque fare molto con poco. Per citare (ma senza fare nomi) un altro esempio recente, è doveroso sottolineare che una città lungimirante e attenta alla qualità di vita dei propri cittadini non decide di tagliare un centinaio di alberi in un’operazione di restyling, ma, anzi, dovrebbe piantarne altri cento. Perché, come recita un vecchio adagio, “il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa; il secondo momento migliore è adesso”.