Una scelta per la chiarezza e il progresso

Diego Scacchi

Nella molteplicità di proposte politiche che caratterizza le prossime elezioni federali, si delinea chiaramente una scelta fra tre schieramenti: l’estrema destra, il centro-destra, e la sinistra.

 

La prima formazione comprende l’Udc (la cui denominazione ‘Unione democratica di centro’ è totalmente fasulla) e, a livello ticinese, la Lega: si caratterizza per una visione e una politica di netta chiusura, ispirata al ‘sovranismo’ e tutta volta a salvaguardia dei ‘nostri’ e di una malintesa identità: il tutto spesso condito da un linguaggio rozzo, aggressivo e da concetti fascistoidi. Ciò si manifesta in un netto rifiuto di qualsiasi proposta europea, e in particolare all’avversione per l’Ue, e in una politica contro gli immigrati, non di rado con accenti razzisti. Il secondo schieramento, di destra moderata, comprende i partiti del centro, principalmente il partito liberale-radicale e il partito democristiano (o popolaredemocratico). A questi partiti va riconosciuto di essersi distanziati, sull’Europa e sull’immigrazione, dall’estrema destra (anche se a volte con qualche ammiccamento); per il resto la loro politica è però fondamentalmente conservativa, senza valide proposte per un sensibile rinnovo della società, e caratterizzata da una conduzione marcatamente pragmatica e priva di progettia lungo termine.

 

 

 

A sinistra per il progresso

 

Per quanto concerne la sinistra, è da salutare positivamente l’alleanza che, grazie alle congiunzioni elettorali, si è formata fra le sue diverse componenti, dopo anni di inutili diatribe. È chiaro che il partito predominante, sia per tradizione sia elettoralmente, è il Partito socialista: l’apporto degli altri partiti, è comunque essenziale per un’affermazione di questa coalizione. Essa è del resto la sola che proponga un vero mutamento nella società, e che tenga conto dell’impoverimento personale e familiare avvenuto negli scorsi anni, non da ultimo nel ceto medio. Da cui la proposta, da parte della sinistra, di significative riforme atte a porre rimedio, nella misura del possibile, alle ingiustizie sociali che caratterizzano la nostra vita collettiva, valorizzando il ruolo dello Stato e del servizio pubblico. Un indirizzo importante non solo a livello federale, ma anche in ottica cantonale. Da questo quadro emerge un compito importante per un democratico che creda nel necessario progresso del suo Paese: appoggiare la coalizione di sinistra, per un mutamento di orizzonti nella nostra realtà troppo legata a concezioni mediocri, ad atteggiamenti di piccolo cabotaggio, a scarse visioni di interesse collettivo. In particolare, due concreti obiettivi si impongono: per il Consiglio nazionale la conquista di un secondo seggio ticinese al Ps (o a un partito ad esso alleato); per il Consiglio degli Stati l’elezione di Marina Carobbio (che, con tutto il rispetto per una candidatura valida come quella di Greta Gysin, che forma il ‘duo’ di sinistra), ha sicuramente un’esperienza politica e parlamentare di prim’ordine, e una personalità di primo piano.

 

 

 

Plr: sconfessione della laicità

 

Nell’ambito di queste riflessioni merita un esame la posizione del Plrt: il partito che negli ultimi anni ha subito un cambio di rotta che ha mutato la sua collocazione nel contesto delle formazioni politiche ticinesi. In particolare, la terza lettera della sua sigla non ha (quasi) più un significato reale, poiché di ‘radicale’ questo partito ha solo una qualche pallida ombra. Da cui il suo deciso spostamento a destra, con la perdita di valori che ne hanno contrassegnato la storia, primo fra tutti la laicità. La decisione di congiungere la lista per il Consiglio nazionale con il Ppd, abbinata alla ‘coalizione’ fra i candidati dei due partiti per il Consiglio degli Stati, presa a larga maggioranza dal Comitato cantonale, non è altro che la logica conseguenza della svolta a destra del partito. E ciò a prescindere dalle motivazioni che sono state date a questa scelta, a cominciare da quella che è stata definita pudicamente ‘congiunzione tecnica’. Questa scelta è ovviamente, in primo luogo, la sconfessione della laicità da parte del Plrt, del resto già abbondantemente anticipata, segnatamente in occasione della raccolta per le firme sull’iniziativa per la separazione fra Stato e Chiese, snobbata e anche intralciata dalla dirigenza Plrt. E ciò malgrado la drastica e fanatica presa di posizione del Ppd contro questa iniziativa, che avrebbe dovuto, in un partito laico, suscitare una chiara reazione (e non un silenzio tombale).

 

Sono comunque da segnalare positivamente alcune reazioni individuali, nell’ambito del partito, che meritoriamente si richiamano alla laicità, con considerazioni molto pertinenti: dall’articolo di Marco Züblin (‘CdT’ 6.7.19) a quello di Giorgio Grandini (‘CdT’ 17.8.19) nel quale si constata la scomparsa di concetti fondamentali del Plr. Quel ticket per gli Stati Frutto di questa impostazione del Plrt è la lista per il Cn, chiaramente di destra, dove di radicale non c’è nulla, come pure il cosiddetto ticket per gli Stati, con Filippo Lombardi e Giovanni Merlini. Un connubio che si è concretamente raffigurato in articoli firmati dai due candidati, esaltanti la loro alleanza, e in una plateale apparizione, condita da applausi scroscianti, di Merlini al Congresso pipidino: impensabile fino a pochi anni or sono. Un ticket caratterizzato dall’ingombrante presenza del ‘senatore’ pipidino di lunghissimo corso, affiancato dall’ex presidente del Plrt, ben diverso da quello che aveva, nella sua carica, difeso con merito quei valori che ancora contavano per questo partito. La svolta liberale giustifica ulteriormente la scelta di privilegiare per le elezioni federali (con indubbio influsso sulla politica cantonale) lo schieramento di sinistra. È auspicabile che anche gli elettori di un partito che ha perso la sua vitalità, e con essa anche la sensibilità ai problemi di giustizia sociale, cambino strada, e si orientino per una scelta che corrisponda più compiutamente a quanto, ancora in un recente passato, erano le loro aspettative. Si abbandoni la politica delle piccole cose e delle vedute miopi, per aprirsi a valutazioni più attente al futuro del Paese.

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