Rafforzare le misure di accompagnamento, altro che indebolirle

Intervista ad Enrico Borelli di Francesco Bonsaver

 

Svizzera e Ue hanno sottoscritto oltre cento accordi per regolare i loro rapporti. A due riprese, nel 1999 e 2004 sono stati sottoscritti circa 20 accordi in materie di comune interesse (tra cui i più importanti riguardano fisco, energia, prestazioni sociali, immigrazione, libera circolazione e mercato unico). 

Lo scorso anno, delegati della Commissione europea e del Dipartimento degli affari esteri di Ignazio Cassis hanno negoziato un nuovo accordo, particolarmente criticato in Svizzera. In particolare, il Dfe di Cassis su richiesta europea, ha messo sul piatto la revisione delle misure di accompagnamento per la salvaguardia delle condizioni di lavoro elvetiche. Misure che a suo tempo furono centrali per l’approvazione degli accordi bilaterali in votazione popolare.

 

Sindacati e associazioni padronali hanno espresso, seppur con sfumature diverse, un rifiuto nell’allentamento delle misure di accompagnamento. L’Unione Europea, la cui linea liberista è uscita confermata dopo le votazioni d’aprile, mantenendo i posti chiave delle istituzioni europee, ora tornerà alla carica sul principio della preminenza della “libertà economica d’impresa” sugli interessi di lavoratori e cittadini. Mentre nel fronte interno, la partita è ancora aperta tra chi vorrebbe salvare gli accordi sacrificando le misure di accompagnamento, chi non ne vuole sentir parlare e chi gioca sulle due sponde come l’Udc, che da sempre sogna di abolire qualsiasi tutela dei salariati e in parallelo chiede l’abolizione della libera circolazione.

 

Ma qual è l’importanza delle misure di accompagnamento per lavoratrici e lavoratori in Svizzera? Ne parliamo con Enrico Borelli, segretario Unia Ticino e Moesa, in procinto di trasferirsi a gestire la regione sindacale di Zurigo-Sciaffusa.

 

 

 

Enrico Borelli, iniziamo col descrivere il contesto del mercato del lavoro in Svizzera e in Ticino, visto dal suo osservatorio.

 

È innegabile che in Ticino si viva da anni una fortissima pressione sui salari, che ha prodotto un abbassamento degli stipendi in diversi rami professionali. E più in generale, si sta assistendo a una precarizzazione dell’impiego. Tutto ciò è avvenuto malgrado l’esistenza di misure di accompagnamento, rivelatesi purtroppo incapaci di contenere il fenomeno. La prima conclusione politica è molto semplice: ipotizzare d’indebolire le misure di accompagnamento è irresponsabile. Le conseguenze sarebbero drammatiche per l’insieme dei lavoratori, andando ad acuire l’erosione dei diritti. Questo discorso non vale solo per il Ticino, ma i casi ginevrini o zurighesi con il taglieggiamento dei salari ad opera di ditte tedesche, dimostrano quanto il problema abbia una dimensione nazionale.

 

Urgente sarebbe l’esatto opposto, cioè rafforzare le misure di accompagnamento. O si rafforzano le tutele dei salariati, o non riusciremo più a governare il mercato del lavoro, con l’inevitabile messa in pericolo della coesione sociale di questo paese. Mediaticamente, il Dfae di Cassis ha puntato molto sull’evidenziare l’allentamento sulla misura degli otto giorni di obbligo di notifica dei distaccati, facendola apparire come una minima concessione. In realtà in gioco c’è la rimessa in discussione dell’intero impianto delle misure di accompagnamento. Si parla degli otto giorni, ma si critica anche l’intensità dei controlli giudicati invasivi per le imprese, le cauzioni obbligatorie, ecc. In breve, il primato della libertà di commercio imprenditoriale rispetto ai diritti dei salariati. Ed è proprio questo concetto che deve essere ribaltato: la priorità devono essere gli interessi dei lavoratori, dei cittadini, non l’interesse delle aziende di accumulare profitti, sfruttando il dumping generato dalla messa in concorrenza brutale dei lavoratori. È una questione di società.

 

 

 

Come dovrebbero essere rafforzate le misure di accompagnamento?

 

In primo luogo, con la presenza fisica dei controlli sui posti di lavoro. È illusorio pensare che si possa verificare le condizioni di lavoro seduti al computer. Solo andando sui posti di lavoro, è possibile intercettare le problematiche e raccogliere informazione atte a individuare le tecniche di elusione delle norme, che diventano sempre più sofisticate.

 

 

 

Associazioni padronali e sindacati hanno espresso la posizione comune che le misure di accompagnamento non vanno toccate. Come si spiega la posizione padronale?

 

Il problema degli abusi investe in prima battuta i lavoratori, ma ha delle conseguenze pesanti anche sulle imprese corrette perché subiscono la concorrenza sleale di chi fa dell’abuso sistematico il proprio sistema di fare impresa. Gli abusi provocano dei problemi ai lavoratori, alle imprese rispettose delle norme e infine un problema di erosione del tessuto sociale ed economico del Paese. Nel panorama imprenditoriale nazionale, vi sono delle imprese che riconoscono la gravità della situazione e la necessità di agire nella direzione opposta da quelle auspicate da Cassis. Va però anche detto che all’interno del mondo imprenditoriale vi sono delle realtà che auspicano l’indebolimento, se non la cancellazione, delle misure di accompagnamento.  Si commetterebbe però uno sbaglio nel considerare l’attacco alle misure di accompagnamento come un attacco dell’Europa alla Svizzera. È un attacco di settori dell’Unione Europea che trovano una sponda all’interno del paese.

 

 

 

Allarghiamo la visione alla politica nazionale. C’è chi difende le deboli misure di accompagnamento e chi le vuole abolire.

 

L’Udc da sempre contesta le misure di accompagnamento, auspicandone la sua soppressione. Autorevoli esponenti dell’Udc, pensiamo a Blocher o Spulher, fanno i loro affari nell’economia globale, mica in Svizzera. Il loro obiettivo è semplicemente dividere i lavoratori, far ricadere le responsabilità del degrado sulle spalle dei più deboli, riportando il Paese a un livello ottocentesco. Negli ultimi venti anni sono riusciti a far ricadere le responsabilità del degrado sui lavoratori. Quest’ultimi, siano essi migranti, frontalieri o svizzeri, subiscono tutti insieme le conseguenze delle politiche neoliberiste.

 

All’Udc il disastro sociale va benissimo così, perché le consente di sfruttare elettoralmente le legittime paure dei cittadini per continuare ad alimentare la divisione dei salariati, la cui unione potrebbe consentire un reale cambiamento. Nella storia dell’umanità, i progressi sociali si sono realizzati solo grazie alle lotte unitarie dei movimenti dei lavoratori. Le politiche xenofobe finalizzate alla divisione dei lavoratori, sono funzionali solo agli interessi di classe padronale, non della società. Facciamo chiarezza. In molti, anche tra i salariati, pensano che il deterioramento delle condizioni di lavoro sia frutto dell’accordo sulla libera circolazione. L’iniziativa Udc ne chiede la sua abolizione. Detta così, il ragionamento pare logico. La libera circolazione non è la causa, ma ha semplicemente accelerato le dinamiche già in corso di politiche neoliberiste di erosione dei diritti dei lavoratori a profitto del capitale. Pensare di isolare la nazione in un contesto di economia globalizzata equivale a un’illusione non aderente alla realtà. Bisogna difendere i diritti dei lavoratori, non i confini.

 

 

 

Se la vertenza con l’Unione Europea dovesse concludersi con un muro contro muro, come se ne uscirà?

 

 

 

Un accordo che prevede l’allentamento delle misure di accompagnamento, non sarà mai accettato in Svizzera in votazione popolare. È partendo da questo dato di fatto che si devono sviluppare nuove trattative. Insistere con una prova di forza sarebbe assolutamente controproducente anche per la stessa UE. Purtroppo, l’attuale orientamento politico liberista dominante nelle istituzioni europee, non si preoccupa degli interessi dei lavoratori in Europa, minando la stessa coesione sociale e politica dell’Unione Europea.

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