Licenziamenti “selettivi”: Berna tergiversa un'altra volta e il Ticino che cosa farà?

di Beppe Savary-Borioli*

 

Al parlamento federale in questa primavera era stata inoltrata un’iniziativa cantonale molto ben documentata, ivi presentata da quattro granconsiglieri ticinesi, che chiede un complemento nel codice delle obbligazioni per poter dichiarare abusiva una disdetta da parte del datore di lavoro se è data con l’obiettivo di sostituire il dipendente licenziato con un altro lavoratore che, a pari qualifiche, viene rimunerato con un salario inferiore.

Questo deve valere anche per un licenziamento in seguito al rifiuto di un dipendente di accettare una sensibile riduzione del suo salario a causa di un forte afflusso di manodopera sul mercato del lavoro.

 

Poco tempo fà la commissione giuridica degli Stati ha deciso che prenderà una decisione in merito all’iniziativa ticinese solo dopo aver accertato ulteriormente la particolarità della situazione del mercato del lavoro in Ticino. Ma quali accertamenti supplementari ci vogliono ancora per capire che in Ticino si trova il mercato di lavoro più disastroso della Svizzera con comportamenti da Far West, dove pratiche descritte qui sopra sono all’ordine del giorno, dove vengono pagati salari da fame non soltanto ai frontalieri ma anche ai residenti non protetti da contratti collettivi di lavoro efficaci e dove mancano crudelmente regole e controlli.

 

Dare ai frontalieri il ruolo del capro espiatorio per questa situazione vuol dire negare la responsabilità di padroni approfittatori, istituzioni politiche e certi sindacati compiacenti. Non di rado chi predica “prima i nostri” ingaggia manodopera di oltreconfine per risparmiare sui loro salari e di conseguenza aumentare il suo profitto. Come esempio illustre ci ricordiamo del Signor Alberto Sicardi, padrone della “Medacta” quando diceva che preferiva un ingegnere italiano a quello svizzero perché gli pagava un salario dimezzato rispetto a quello che avrebbe dovuto pagare allo svizzero.

 

Il mercato del lavoro di stampo neoliberista detta le sue leggi pure ai ticinesi e residenti. Anche qui voglio citare soltanto alcuni esempi: Grosse imprese come Coop offrono impieghi su comanda dalle zero alle otto ore settimanali; chi lavora nelle pulizie si deve accontentare di un salario concordato che non permette di vivere dignitosamente e i giovani spesso vengono ingaggiati per degli “stages” dove svolgono il loro lavoro per un compenso indecente.

 

Se a Berna non si vuol capire, che cosa dire allora del mondo politico ticinese? Un salario minimo che garantisce una vita dignitosa a tuttora non è in vigore, dei controlli efficaci spesso non avvengono per mezzi insufficienti o volontà mancante, sub-, sub-sub-appalti e agenzie interinali infittiscono la giungla dei tanti cantieri. Manca una chiara regolamentazione oppure la volontà di regolamentare. La risposta della commissione giuridica degli Stati conferma una sensibilità molto scarsa verso i problemi del mondo del lavoro nel nostro cantone e conferma ulteriormente la necessità di chiedere uno stato speciale per il Ticino.

 

Toccherà al Gran Consiglio ticinese di chiederlo ma anche alla nuova delegazione parlamentare di sostenerlo a Berna. Questa volta la rivendicazione deve essere accettata a Berna per poi applicare in Ticino le misure che s’impongono. Ora si cambia.

 

 

 

 

* candidato al Consiglio Nazionale