Le angosce dei Siriaci in Ticino

di Francesco Bonsaver

 

Hana Hobil, nata e cresciuta in Ticino, vive con passione e angoscia quanto sta accadendo nel Nord della Siria, dove vive il suo popolo d’origine, quello siriaco. Di religione cristiana, i Siriaci hanno una drammatica storia millenaria di oppressione e di genocidi.

Solo negli ultimi anni, i Siriaci hanno finalmente trovato un po’ di pace, nell’esperienza dell’amministrazione autonoma regionale del Rojava, condivisa con Curdi e Arabi. Organizzati nel Syriac Council, hanno combattuto militarmente a fianco dei Curdi e degli Yezidi contro lo Stato Islamico, liberando le loro terre al prezzo di numerose vite umane.

 

Hobil, quale rappresentante dell’European Syriac Union, racconta ad area il passato, il presente e la speranza di un futuro migliore per il suo popolo.

 

 

Signora Hobil, facciamo un passo indietro, a prima dello scoppio della primavera siriana trasformatasi nel cruento conflitto interno che da otto anni affligge le popolazioni del Paese. Come viveva la comunità siriaca sotto il regime di Assad?

Vivere sotto il dominio di un dittatore, racconta già tutto. L’unico diritto consentito al popolo siriaco era di poter svolgere le attività religiose, quali la messa. Tutto il resto ci era proibito. Non potevamo avere dei centri culturali, non ci si poteva esprimere pubblicamente nella nostra lingua. Era totalmente escluso l’insegnamento del siriaco, della cultura o la storia del nostro popolo. Perfino a livello concettuale, la nostra identità di Siriaci veniva negata, poiché ufficialmente i Siriaci non esistevano, essendo definiti quali arabi-cristiani. A livello politico, nessun diritto di essere rappresentati a livello locale, men che meno sul piano nazionale. La Costituzione vietava esplicitamente che un arabo-cristiano potesse diventare Presidente della Siria.

 

Negli ultimi anni, con l’istituzione dell’amministrazione autonoma (Rojava), ci sono stati dei cambiamenti per il vostro popolo?

Enormi. Tutti i diritti sono stati riconosciuti. Ora si può parlare in pubblico in siriaco, esistono le scuole dove s’insegna la lingua e la storia del nostro popolo. Sono nati dei centri culturali dove si tramandano le tradizioni. Nel recente passato, in quelle terre si viveva felicemente, in pace e nel rispetto tra Curdi, Arabi e Siriaci. Cambiamenti importanti ci sono stati anche per le donne, nel riconoscimento del loro ruolo e dei loro diritti. Per darle un esempio, la coopresidente del Parlamento dell’amministrazione autonoma del Rojava, è una donna siriaca. Sempre nel Parlamento, la presenza femminile è del 50%, come stabilito dalla Costituzione dell’amministrazione autonoma.

 

Passiamo ai drammatici giorni nostri. Come vive la popolazione siriaca l’intervento delle truppe turche e i suoi alleati?

Dopo anni di pace, si ripiomba nell’incubo della guerra. Purtroppo i timori delle reiterate minacce di Erdogan di voler attaccare la Regione autonoma, sono diventati una triste realtà. Vi è molta inquietudine su quel che può accadere. Il popolo siriaco ha già vissuto il genocidio nel 1915 (mezzo milione di Siriaci sterminati, ndr) ad opera dell’Impero Ottomano. Ora viviamo nell’angoscia che il genocidio si ripeta per mano dei Turchi di oggi. È incomprensibile come questo possa accadere nel ventunesimo secolo. Nel 1915, l’opinione pubblica internazionale non aveva i mezzi per essere informata del genocidio in corso. Oggi sì. Per il nostro popolo, ma ciò vale per tutti i popoli della regione, l’unica speranza risiede nella reazione dell’opinione pubblica mondiale, che esprimendo la sua indignazione, costringa i governi dei vari Paesi dell’Unione europea, degli Stati Uniti o della Russia, a intervenire per fermare il massacro.

 

Nonostante le drammatiche immagini provenienti in questi giorni di guerra, riesce a serbare la speranza di un futuro migliore per la popolazione siriaca?

Come popolo, non ci siamo mai rassegnati a essere perseguitati. Una grande forza per sopravvivere l’abbiamo trovata nella fede. Oggi confidiamo nell’intervento della comunità internazionale, perché garantisca il riconoscimento dei nostri diritti. Come Siriaci, non vogliamo più vivere sotto il regime dittatoriale. Lasciamo il passato alle spalle, per costruire un futuro migliore. Per noi, non si tratta di creare un nuovo stato, ma di poter vivere liberamente in pace e nel rispetto con le altre etnie. I Siriaci, i Curdi e gli Arabi vogliono la libertà di gestire la vita quotidiana, politica e amministrativa dove vivono.

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