Per un populismo di sinistra

di Franco Cavalli

 

Di Chantal Mouffe e del suo compagno Ernesto Laclau, deceduto già alcuni anni fa, si è parlato molto in questi anni, soprattutto perché sono stati considerati degli ispiratori dei nuovi movimenti di sinistra, dalla Rivoluzione Bolivariana a Podemos. È quindi con parecchio interesse che mi sono accinto a leggere questo libro, tutto sommato parecchio snello e di facile lettura

Secondo Laclau e Mouffe, se così tanti partiti socialisti tradizionali vivono una fase di disorientamento è perché sono fermi ad una visione oramai inadeguata della politica, da loro definita come “essenzialismo di classe”. In questa visione, le identità politiche sono semplicemente l’espressione della posizione occupata nei rapporti di produzione: questa prospettiva è perciò incapace di comprendere domande non riconducibili alla “classe”. Ed è a questa visione, secondo loro riduttiva della società, che bisogna fare risalire le difficoltà della sinistra a capire fenomeni come il femminismo, i diritti degli omosessuali ed una serie di altre richieste scaturite in gran parte dal movimento del ‘68. Secondo Mouffe, questa crisi del concetto di egemonia, in senso gramsciano, che attanaglia la sinistra da molti anni, potrà essere superata solo recuperando un populismo di sinistra inteso come strategia discorsiva di costruzione della frontiera tra “il popolo” e “l’oligarchia”.

 

Secondo l’autrice i partiti socialdemocratici, convertiti in buona parte al neoliberismo, sono ormai convinti che sia possibile una politica senza parti tra loro avverse e contrapposte, mentre per Mouffe senza la definizione di un avversario non è possibile lanciare un’offensiva egemonica e quindi rilanciare la sinistra, in molti paesi ormai quasi moribonda, come dimostrato dalle recenti elezioni europee. In questo senso, l’autrice ci tiene a sottolineare che la loro prospettiva non ha assolutamente niente a che fare con il vicolo cieco, nel quale la sinistra è stata infossata dalle teorie sulla cosiddetta “terza via”, così care a Blair e a Schroeder.

 

La strategia proposta nel libro - quella di un aggressivo populismo di sinistra - cerca di stabilire un nuovo ordine egemonico: si pone come obiettivo la costruzione di una volontà collettiva, di un “popolo” capace di ristabilire l’articolazione tra forme statuali di origine liberale e quella democrazia che è stata sconfessata dal neoliberismo.

 

Se da una parte Mouffe rifiuta la definizione vetero-marxista di Stato come semplice sovrastruttura dell’ordine economico, dall’altro dimostra chiaramente come il neoliberismo abbia ormai ridotto nelle nostre società al lume di candela lo spazio democratico, dove del liberalismo originale è rimasto solo il dominio assoluto delle forze economiche e del grande capitale.

 

In fondo, per Mouffe, il populismo di sinistra non è nient’altro che la lotta, senza se e senza ma, per estendere il più possibile i limiti della democrazia popolare. È interessante notare che l’autrice sottolinea come la lotta egemonica per recuperare la democrazia debba iniziare a livello dello stato nazionale che, anche se ha perso molto delle sue prerogative, è ancora uno spazio decisivo per l’esercizio della sovranità popolare.  Mouffe riconosce che la lotta contro il neoliberalismo non potrà essere vinta solo sul piano nazionale, ma che sarà chiaramente necessario stabilire un’alleanza a livello europeo.

 

Un ultimo punto mi sembra importante. Mouffe insiste molto sul fatto che per l’offensiva populista di sinistra è necessario definire un avversario, senza che quest’ultimo diventi un nemico: La prospettiva è quella agonistica, ma non antagonistica, anche se così facendo si deve accettare necessariamente il carattere di parte della politica democratica, che può risultare nonostante ciò pluralistica, e non sconfinare invece nella guerra civile.

 

Che dire del libro? Anche se su parecchie conclusioni sono d’accordo, o quasi, devo dire che sono rimasto un po’ deluso. Il discorso, anche se brillante, mi sembra un po’ troppo “politichese”, nel senso che mi manca un’analisi dei cambiamenti sociali epocali che stiamo vivendo. Anche se è sicuramente sbagliato fare delle deduzioni meccaniche tra le strutture economiche e la sovrastruttura politica (e lo stesso Marx ha criticato questo approccio semplicistico), d’altra parte il discorso non può rimanere solo a livello della sovrastruttura.

 

Sebbene mi permetta di consigliarlo perché chiarisce alcuni concetti, alla fine della lettura mi è venuto da pensare che nonostante tutto “la vecchia talpa dovrà continuare a scavare”. E magari meglio.

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