Un salario indegno

Maurizio Solari, economista

 

La Commissione della gestione del Gran Consiglio ha finalmente proposto delle cifre per l’applicazione del salario minimo in Ticino. Si tratta di “forchette salariali” per poter variare il livello del salario minimo a dipendenza del settore economico.

Se la proposta dovesse essere applicata in tempi brevi, entro la fine del 2020 ognuno di questi settori avrà un suo salario minimo, ma tutti compresi fra 19 e 19.50 Chf/ora. Tuttavia, questa sarà solamente la prima fase, perché la forchetta si attesterà fra 19.50 e 20 Chf/ora entro la fine del 2022 e salirà a 19.75/20.25 Chf/ora entro la fine del 2023.

 

Nonostante l’uso di queste forchette sia giustificato dalla differenziazione settoriale, il salario minimo è uno strumento che appunto fissa un minimo sotto il quale non si può scendere. Perciò, le tre fasi ci porteranno progressivamente da un salario minimo di 19, verso uno di 19.50 e infine a 19.75 Chf/ora.

 

Per meglio capire la portata di queste cifre, esprimiamole in termini mensili. Consideriamo 52 settimane lavorative di 41.5 ore ciascuna, cioè la media oraria di lavoro nel 2016 secondo l’Ufficio federale di statistica (Ufs). Il salario minimo su 12 mensilità sarà allora di 3’417 Chf da fine 2020, di 3’507 franchi due anni dopo e di 3’552 franchi l’anno successivo. In realtà, spesso il salario è versato su 13 mensilità, ciò che ridurrebbe questi montanti.

 

Ciononostante, teniamo buone le cifre riportate e paragoniamole con la soglia di povertà indicata dall’Ufs, ovvero un livello di reddito che pone un’economia domestica a rischio povertà. Prendiamo il caso di un genitore con due figli a carico: nel 2017 tale soglia era fissata a 4’002 Chf/mese. Ciò significa che anche quando il salario minimo ticinese raggiungerà il suo livello massimo, esso non permetterà a un genitore con due figli di poter mantenere la sua famiglia. Nulla a che vedere dunque con l’obiettivo di garantire una “vita dignitosa” ai lavoratori residenti in Ticino. Considerando la soglia di povertà relativa a un’economia domestica con due genitori e due figli (5’253 Chf/mese) l’obiettivo si allontana ancor di più. È vero che se entrambi i genitori lavorano i loro salari vanno sommati, ma è vero anche che la scelta di non lavorare – o lavorare a tempo parziale – per dedicarsi ai figli fa parte della “dignità” dei genitori. Questa scelta però è impossibile se un salario solo non permette nemmeno di superare la soglia di povertà, che si fissa molto al di sotto di una “vita dignitosa”.

 

Inoltre, il salario minimo non può essere una cifra invariabile, ma deve evolvere a seconda del costo della vita: se i prezzi aumentano, il salario minimo deve aumentare ugualmente. Al contrario, la messa in pratica del salario minimo in tre fasi non ci permetterà, con ogni probabilità, di raggiungere il livello massimo previsto. Se ipotizziamo un aumento annuo dei prezzi dello 0.5 per cento (come nel 2017), i 19.75 Chf/ora fissati a fine 2023 varranno come 19.35 Chf/ora a fine 2020. Se i prezzi aumenteranno invece dell’1 per cento (come nel 2018), il salario minimo di fine 2023 equivarrà a 19 Chf/ora. In altre parole, il rincaro dei prezzi potrebbe annullare l’aumento del salario minimo previsto per la terza fase.

 

Perciò, la proposta commissionale non risolverà il problema del dumping salariale in Ticino e anzi “legalizzerà” la povertà salariale. È la proposta stessa a essere indegna dell’obiettivo dell’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino!” accettata in votazione popolare più di quattro anni fa.