Una inutile e dolorosa telenovela

di Franco Cavalli

 

Anche quest’anno abbiamo ricevuto la solita stangata, con i premi che naturalmente aumentano di più rispetto all’incremento generale dei costi della salute, e questo per ragioni che spieghiamo nel quadratino aggiuntivo e nel seguito di questo articolo.

 

 

La gente non ne può veramente più: come ha dimostrato una recente inchiesta, per la maggioranza dei cittadini del nostro paese, i premi di cassa malati sono diventati ormai un fardello molto più pesante che non quello delle imposte. In Ticino, per esempio, si calcola che una famiglia media pagherà perlomeno 15’000 franchi all’anno per l’assicurazione di base, mentre per la stessa famiglia il totale delle imposte (comunali, cantonali, federali) si aggirerà tra i 7’000 e gli 8’000 franchi.

In quest’anno elettorale tutti i partiti hanno parlato del tema, anche se generalmente a vanvera. L’unica idea che sembra imporsi tra i liberali radicali è quella di obbligare la gente ad avere una franchigia altissima, perché così si stimolerebbe la responsabilità individuale. Un’idea malsana che già diversi anni fa parecchi studi hanno dimostrato che ha come solo risultato quello di aumentare alla fine le spese (perché la gente va troppo tardi dal medico), peggiorando così poi i risultati sanitari. L’UDC, che su questi temi da anni balbetta, ora sembra essersi quasi deciso a lanciare un’iniziativa popolare, che avrebbe un unico scopo: permettere alle casse malati di rimborsare minori prestazioni, quindi aumentare ancora tutto quanto va a carico dei pazienti. In fondo, queste pessime soluzioni dei liberali e dell’UDC non sorprendono: sono i due partiti più legati alle varie lobby (in particolare a quella farmaceutica) e soprattutto si suddividono la stragrande maggioranza dei posti di direzione, lautissimamente pagati, delle casse malati. Il PPD ha lanciato un’iniziativa, che tra l’altro sembra avere qualche difficoltà a raccogliere le firme, di cui probabilmente neanche gli estensori capiscono bene sino in fondo il significato. Sembrerebbe di capire che si voglia semplicemente mettere nella costituzione, che se i costi della salute aumentano di più dell’aumento medio dei prezzi, bisognerà prendere delle misure incisive. Molto bene: ma quali?

Un palliativo efficace, almeno per un certo tempo, è rappresentato dall’iniziativa del PS, che vuole mettere nella costituzione che i premi non possono superare il 10% del reddito disponibile: è già di più di quanto aveva previsto Flavio Cotti (il padre della LAMal), che al momento della formulazione della legge aveva parlato di un massimo del 8%. A questo punto dovrebbe essere diventato chiaro a tutti che non potrà essere l’uno o l’altro dei cerotti proposti a salvare la LAMal, una legge che deve assolutamente essere rifatta, perché così com’è sta facendo implodere tutto il sistema.

 

Da un certo punto di vista quando nacque 25 anni fa rappresentava un progresso: introduceva l’obbligatorietà di essere assicurato (un punto fondamentale) e fissava dei premi uguali per uomo/donna e giovani/anziani. Aveva però una serie di pecche: il diverso finanziamento del settore ambulatoriale rispetto a quello degente (una delle ragioni per cui i premi aumentano maggiormente rispetto ai costi), la mancanza di un vero sistema di controllo della qualità delle prestazioni, ma soprattutto due peccati originali.

 

Il primo è quello dell’uguaglianza dei premi tra tutti (salvo quelli che ricevono i sussidi): Blocher paga quindi esattamente lo stesso che paga l’impiegato postale. Ora tutti gli economisti seri della salute, riconoscono che solo un finanziamento proporzionale alla forza economica delle persone fisiche, sia per un finanziamento per premi che per imposte, può evitare che si sviluppi una medicina a due velocità: una per i poveri e un’altra per i ricchi. E purtroppo anche nel nostro paese ci stiamo avvicinando a questa situazione moralmente inaccettabile, eccome!

 

L’altro peccato originale è quello di aver organizzato il sistema basandolo “sulla concorrenza”: tra gli istituti di cura, ma soprattutto tra le casse malati. Ora la concorrenza in medicina non ha mai fatto diminuire i costi (e lo vediamo negli Stati Uniti dove c’è il sistema più liberale!), anzi li fa aumentare perché il mercato sanitario non è regolato dalla domanda, ma bensì dall’offerta. E questo difetto è stato rafforzato in tutte le susseguenti revisioni della LAMal, che ai problemi già esistenti ne ha aggiunti ancora altri, come per esempio, il rifiuto delle cure a chi non è in grado di pagare i premi. Con l’ultima revisione si sono moltiplicate le spese, includendo nei sussidi anche le cliniche private, che il legislatore aveva inizialmente escluso, e istituendo un sistema di finanziamento (i famigerati DRG) che hanno come conseguenza principale che da una parte i pazienti vengono spesso dimessi troppo presto (perché trattenendoli fintanto che staranno meglio, l’ospedale ci perde) e dall’altra porta al peggioramento della situazione lavorativa-economica del personale infermieristico. Di questo ne abbiamo già parlato, e sicuramente ritorneremo a parlarne, anche perché si è oramai giunti al momento in cui il Parlamento dovrà decidere a proposito dell’iniziativa popolare delle infermiere, che chiedono maggiori investimenti per formare un numero maggiore di personale curante, ma anche per avere condizioni di lavoro migliori. E già UDC e liberali stanno sparando a zero contro questa iniziativa

 

 

Perché ci vuole una cassa malati unica e pubblica?

 

Prima di tutto perché si risparmierebbe molto in salari di managers, burocrazia e spese pubblicitarie inverosimili per rubarsi i clienti. Se invece di 50 CEO, e altrettanti presidenti dei consigli di amministrazione, ce ne fosse solo uno, chiunque capisce che si risparmia. Inoltre non si butterebbero centinaia di milioni in pubblicità che ogni anno vengono adoperati per convincere la gente a cambiare cassa malati, anche se alla fine il risultato è praticamente nullo. Oggi anche gli esperti dello stesso ufficio federale della sanità hanno difficoltà a raccapezzarsi nei budget delle varie casse malati, comprese le famose riserve. Una sola cassa malati creerebbe chiarezza e trasparenza, anche perché naturalmente (e anche essendo pubblica) si occuperebbe soltanto dell’assicurazione di base e non si occuperebbe per niente delle assicurazioni complementari. Oggi tra la base e le complementari (private) di una stessa cassa malati ci sono travasi continui di fondi, che nessuno riesce chiaramente a seguire. Per il solo fatto di esistere non è che la cassa malati unica farà immediatamente diminuire i costi della salute: ma la sua esistenza è una conditio sine qua non per riuscire a controllare l’aumento dei costi della salute. E perché? Rispondiamo nei punti seguenti.

 

Una cassa malati unica avrebbe dei medici a tempo pieno che lavorano per lei (come è il caso della SUVA: che in fondo è la cassa malati unica per gli infortuni), che potrebbero seguire direttamente con i medici l’evoluzione delle malattie e la necessità delle terapie. Non per niente i premi per la SUVA diminuiscono e non aumentano!

Oggi con 50 casse malati, organizzate in modo diverso e che molto spesso non hanno una vera struttura medica di controllo, è quasi impossibile garantire un controllo ragionevole dei costi, ma ci si affida generalmente solo a delle pratiche burocratiche dove a decidere sono gli algoritmi e non i professionisti.

Si calcola che perlomeno il 20% delle prestazioni fornite siano medicalmente inutili, ma vengono fatte solo per guadagnare. Una cassa malati unica può molto più facilmente controllare questo che non 50 diverse casse malati, dove un quarto degli assicurati ogni anno cambia da una all’altra.

Oggi i premi aumentano di più rispetto all’incremento dei costi generali della salute, perché c’è un continuo trasferimento di prestazioni dal settore stazionario (dove lo stato paga il 55%) a quello ambulatoriale (dove tutto è pagato dalla cassa malati). Questa è una delle debolezze della LAMal: ci vorrebbe un sistema unico sia per il settore ambulatoriale che in degenza ospedaliera. Le casse malati propongono che siano loro a controllare tutto (sistema monistico), popolo e cantoni sono invece contrari. Diverso sarebbe il discorso però se avessimo una sola cassa malati, controllata dal pubblico e dove quindi questo sistema monistico diventerebbe politicamente accettabile.

Il principale paese con cassa malati unica è il Canada. Il sistema funziona perfettamente, il Canada spende parecchio meno della Svizzera e il 50% meno degli Stati Uniti, dove c’è il sistema della “concorrenza tra varie assicurazioni”.

 

 

Perché i premi devono essere proporzionali al reddito?

 

La ragione è evidente: è l’unica soluzione socialmente accettabile. Altrimenti capita quanto sta avvenendo da noi, e cioè che siccome i ricchi pagano dozzine o addirittura centinaia di volte meno di quanto pagherebbero nei paesi vicini, ad essere strozzata è la classe medio-bassa, cioè quella che è appena al di sopra del limite per poter ottenere i sussidi. E siccome tendenzialmente i cantoni diminuiscono costantemente quanto viene messo a disposizione per i sussidi, la percentuale della popolazione che non arriva più a pagare i premi di cassa malati aumenta continuamente. Basta fare un calcolo che è stato recentemente riportato da vari studi: in Ticino per la maggioranza della popolazione (escluso coloro che ricevono i sussidi) i premi di cassa malati per una famiglia media rappresentano il doppio rispetto a tutte le altre imposte cumulate (comunali, cantonali, federali). Una famiglia con due figli deve spendere per la cassa malati attorno ai 15’000 franchi all’anno, mentre per la stessa famiglia il totale delle imposte si aggira tra i 7’000 e gli 8’000 franchi. Questa situazione non è data tanto dall’aumento generale dei costi della cassa malati, ma dal fatto che questi costi sono estremamente mal distribuiti tra i diversi ceti.

 

All’estero la salute viene finanziata o con premi proporzionali al reddito o con le imposte: quindi chi più ha, più paga. Un miliardario come Blocher, pagherebbe dozzine di milioni di franchi all’anno, mentre oggi paga come l’impiegato postale. E se i ricchi non pagano, è evidente che a pagare è soprattutto la classe medio-bassa. I migliori esperti di economia della salute sono concordi: se si vuole evitare una medicina a due velocità (cioè una medicina per i ricchi ed un’altra per i poveri), l’unico finanziamento che possa garantirlo è quello proporzionale alla forza economica, sia con un sistema di premi che con le imposte. Se non si fa così, a lunga scadenza è impossibile evitare la medicina a due velocità. E anche da noi ci stiamo arrivando: nel Canton Ginevra, per esempio, un paziente con un cancro alla prostata che appartenga al 20% più ricco della società ha un’aspettativa di vita doppia rispetto ad un paziente, che pur avendo lo stesso tumore e allo stesso stadio, appartiene al 20% più povero.

 

Come descriviamo in questo numero nell’inserto dedicato al costo dei farmaci, con i nuovi farmaci molto costosi, soprattutto usati in oncologia, siamo già ora ad una situazione nella quale i pazienti ricchi possono avere a disposizione questi farmaci prima, spesso molto prima, di chi ha solo un’assicurazione di base.

 

 

Tre esempi particolarmente chiari

 

Tra i moltissimi esempi che si possono portare sui guadagni assolutamente ingiustificati dei monopoli farmaceutici, ne abbiamo scelti tre.

 

1) La Talidomide venne usata negli anni 50 e 60 come sonnifero. Tra il 1958 e il 1960 si scoprì che il farmaco, se preso durante la gravidanza, poteva provocare in un’alta percentuali di casi neonati malformati: a loro poteva mancare un arto o essere focomelici (cioè avere un braccio o una gamba molto più corta del normale). Dal 1961 se ne proibì l’uso. Verso la fine degli anni 90 si scoprì per caso che poteva essere utile nell’uso di un tipo di tumore (mieloma multiplo), che sorge solo in persone anziane. Per parecchio tempo si poté averlo gratuitamente: la produzione è estremamente semplice ed il farmaco può essere preparato in ogni farmacia universitaria. Grazie a diversi trucchi di mercato e a dei cavilli della legge sui brevetti, una ditta riuscì a farsi dare la privativa con una nuova formulazione, proibendo l’uso della Talidomide “normale”. Costo del farmaco: 3’000 franchi il mese. Costo di produzione di pochi franchi, assolutamente nessun investimento di ricerca.

 

2) Da anni si conosce lo scandalo dei due farmaci Lucentis e Avastin, entrambi attivi come terapia della degenerazione della retina dell’occhio. Roche ha già guadagnato miliardi con Avastin, nonostante una sua utilità molto limitata nel settore dei tumori e non ha mai registrato il farmaco per l’indicazione oftalmologica. Quindi si può usare solo Lucentis (Novartis), che costa molto, molto di più rispetto a quanto costerebbe il dosaggio ridotto di Avastin, necessario in queste indicazioni. Pensare che ci sia stato un accordo tra i due monopoli per “non mangiarsi a vicenda” non è fantapolitica….

 

3) Nel settore delle malattie infettive, ma anche in oncologia, ci sono molti vecchi farmaci ancora molto utili in certe indicazioni e che hanno un costo estremamente basso. Talora questi non vengono semplicemente più prodotti (per esempio la terapia estrogenica nel carcinoma della prostata) per essere sostituita con farmaci molto più cari. Talora invece il farmaco viene improvvisamente prodotto da una sola ditta, che allora aumenta di 50-100% il prezzo, avendone in pratica il monopolio. Qualche anno fa fece molto scalpore quel faccendiere di New York, che avendo acquisito una ditta che era diventata l’unica produttrice di un farmaco anti-infettivo, ne aveva aumentato il prezzo del 5’000%. Poco dopo finì in galera, ma per altre ragioni.

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