Perché Tsipras è stato sconfitto

di Fosco Giannini, responsabile esteri del Partito Comunista Italiano (PCI), già senatore

 

Lo scorso 7 luglio si sono tenute in Grecia le elezioni. Il Partito di Alexis Tsipras, Syriza, ha ottenuto il 31,6% ed è stato sconfitto da Nuova Democrazia, che ha ottenuto il 39,8%: la forza politica più antioperaia e più filo-atlantista del grande capitale greco.

Syriza governava ormai da diversi anni con posizioni autodefinite “di sinistra”. Perché, allora, è stata sconfitta da una forza così antipopolare? La risposta è semplice: perché, in verità, il governo Tsipras non ha mantenuto le promesse, ma si è genuflesso agli ordini del FMI, dell’Ue, della Banca Centrale Europea e della Commissione europea; ha cioè tradito il popolo greco.

 

Il tradimento di Tsipras è lo stesso tradimento che negli ultimi decenni hanno portato avanti le forze socialdemocratiche europee, che per questo motivo sono crollate quasi in ogni Paese dell’Ue, lasciando lo spazio politico e la vittoria alle forze di destra, liberiste, populiste e neofasciste. Lo spazio che i partiti socialdemocratici hanno lasciato alle destre, con le loro politiche subordinate a Maastricht, è oggi la questione politica più pregnante, da quella occorrerebbe ripartire per capire che vi è un solo modo per recuperare la fiducia del movimento operaio: praticare una politica radicalmente contraria a quella liberista che impone ai popoli l’Ue.

 

Nelle elezioni del maggio 2012 Syriza, con un programma che prometteva l’autonomia greca dalle direttive dell’Ue, raggiunge il 16,8%; nelle elezioni ripetute del giugno 2012 fa un grande salto in avanti raggiungendo quasi il 27% dei voti: il punto forte del programma elettorale era la richiesta di rinegoziazione del piano di austerity imposto alla Grecia dalla Troika (obiettivo mai raggiunto e mai davvero perseguito in tutti i suoi anni di governo). Nelle elezioni greche del 25 gennaio 2015 Syriza trionfa con il 36,34% dei consensi e 149 seggi.

 

La Grecia che vede l’ascesa di Syriza, dal 2012 in poi, era un Paese sotto il tallone di ferro del FMI, della BCE e dell’Ue. I tagli dovevano servire per pagare gli interessi dei prestiti che il FMI e la BCE facevano, come terribili strozzini, al governo greco. La miseria dilagava, la disoccupazione era di massa; molti erano i suicidi dei lavoratori e dei pensionati, ma anche dei piccoli imprenditori, dei commercianti, che sceglievano, appunto, la morte di fronte alla perdita del lavoro o della piccola bottega. Tsipras vince perché promette la fine di tutto ciò. Una promessa vana, non mantenuta, base della sconfitta odierna. I governi Tsipras che si susseguono ad Atene cambiano immediatamente la linea politica di lotta contro l’Ue con la quale Syriza riempiva ogni giorno piazza Syntagma, sotto il governo di destra. I prestiti-capestro che il FMI e la BCE rilasciavano ai governi di destra vengono, con le stesse sanguinose modalità per il popolo greco, ripresi dal governo Tsipras.

 

Nel giugno 2017 il FMI, la BCE e il governo di Berlino accettano la richiesta di Tsipras per un prestito alla Grecia di 8,5 miliardi di dollari. Ma a due condizioni: la prima è che l’Eurogruppo garantisca il rientro del prestito tedesco attraverso un nuovo giro di vite sulla società greca; la seconda è che il FMI aiuti Atene a pagare il nuovo credito tedesco attraverso un proprio prestito di 2 miliardi di dollari da versare ad Atene verso gli ultimi mesi del 2017. Christine Legarde, allora direttrice del FMI, è altrettanto chiara e vincola il proprio versamento di 2 miliardi di dollari ad Atene alla condizione che, immediatamente, Bruxelles e Berlino impongano a Tsipras nuovi tagli sociali. E il cerchio, complicato e barocco quanto lucidamente perverso, si chiude: Atene avrà da Berlino i primi 8,5 miliardi subito, in gran parte prima dell’estate 2017 e il resto nell’autunno e avrà, successivamente, i 2 miliardi di dollari dal FMI, che serviranno ad Atene per iniziare a ripianare l’ultimo debito contratto con Berlino: una via crucis infinita. In cambio, il governo Tsipras, avvia immediatamente nuove misure duramente antipopolari, quelle stesse che imponeva la destra liberista greca di Nuova Democrazia.

 

Al referendum del luglio 2015 riguardante l’approvazione del piano proposto dai creditori internazionali, vinse il no all’accordo con circa il 62% e fu Tsipras a far schierare il governo per il no. L’allora ministro Yanis Varoufakis, prima del referendum, affermò: “Quello che stanno facendo con la Grecia ha un nome: terrorismo. Perché ci hanno costretto a chiudere le banche? Per instillare la paura nella gente. E quando si tratta di diffondere il terrore, questo fenomeno si chiama terrorismo”. Mai occorrerà dimenticare le prime dichiarazioni, dopo la vittoria popolare del no al referendum di Tsipras: “I greci hanno fatto una scelta coraggiosa, che cambierà il dibattito in Europa. La Grecia da domani vuole sedersi di nuovo al tavolo delle trattative: vogliamo continuarle con un programma reale di riforme ma con giustizia sociale e dobbiamo ‘riarticolare’ la questione del debito”. Dopo il referendum e la prima proposta di Tsipras di intavolare la trattativa “su basi nuove e non più subordinate” abbiamo le dimissioni da ministro delle finanze di Varoufakis, rassegnate “per favorire l’intesa del governo greco con la controparte europea”. E certo mai dovremo dimenticare che, rispetto all’aut-aut dell’Ue successivo alla vittoria del no al referendum (“Ora la Grecia deve scegliere se uscire dall’Eurozona o accettare il memorandum dell’UE”) Tsipras scelse la seconda strada e dopo l’approvazione in Parlamento di quel memorandum liberista, l’ala radicale di Syriza abbandonò il partito fondando Unità Popolare e ponendosi all’opposizione.

 

Vi è stato un momento, dopo il referendum greco del giugno del 2015 che vide quella vittoria popolare volta alla rottura con il liberismo dell’Ue, che Tsipras volò per ben quattro volte a Mosca, invitato da Putin. Ciò che stava accadendo era questo: il mondo BRICS, la Russia e la Cina innanzitutto, offrivano a Tsipras una sponda mondiale alternativa all’Ue, la sponda dei rapporti politici, economici, bancari e commerciali con il “mondo nuovo” che poteva liberare la Grecia dalla dittatura di Bruxelles e di Berlino.

 

Tsipras, un socialdemocratico, non ebbe il coraggio rivoluzionario di portare avanti una tale scelta. E riportò la Grecia sotto il tallone di ferro della Troyka. Una lezione per tutte le forze di sinistra e comuniste dell’Ue su cui riflettere.

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