Antisemitismo o legittima critica alle politiche di Israele?

di Damiano Bardelli

 

L’antica piaga dell’antisemitismo, mai del tutto eradicata, sta purtroppo tornando a dispiegare i suoi tentacoli in Occidente. 

In quest’epoca di rigurgiti nazionalisti, di disumanizzazione del diverso, di muri e facili capri espiatori, anche la comunità ebraica è chiamata a pagare un duro prezzo.

 

Il razzismo e ogni forma di discriminazione vanno denunciati e duramente combattuti, indipendentemente dalla comunità che ne è vittima, e la sinistra – fedele alla sua storia e ai suoi valori – deve essere la prima a condurre questa battaglia, all’interno dei suoi ranghi e più in generale nella società. Ma adottare la controversa definizione IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) dell’antisemitismo, che getta in un unico calderone discriminazione degli ebrei e critica legittima alle politiche dello Stato d’Israele, è davvero la strada giusta?

 

In questi ultimi anni, capi di stato e populisti di fama internazionale come Trump, Orban e Salvini hanno rilanciato e normalizzato alcune delle teorie del complotto antisemite che fino a poco tempo fa restavano confinate nei circoli dell’estrema destra. Vere e proprie incitazioni all’odio che hanno portato ad un crescente numero di attacchi antisemiti, dagli insulti per strada ai vandalismi nei cimiteri ebraici, fino agli attentati come quello attuato lo scorso anno da un suprematista bianco contro la sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, che fece undici morti e diversi feriti. Malgrado un tale mostro stia risorgendo in Occidente, i politici del grande “centro liberale”, e la stampa loro amica, preferiscono concentrare i loro attacchi contro la sinistra critica nei confronti delle politiche di colonizzazione e di apartheid d’Israele, strumentalizzando l’accusa di antisemitismo per delegittimare e discreditare una risorgente sinistra socialista.

 

Il caso più eclatante è senz’altro quello della campagna montata contro la direzione del Partito laburista britannico e in particolare il suo leader Jeremy Corbyn, attivista pro-palestinese di lunga data, accusato dai suoi oppositori politici (sia esterni che interni al partito, in particolare l’ala neoliberale dell’ex-premier Tony Blair) e dalla stampa loro vicina, di aver reso il partito un vero e proprio ricettacolo di antisemiti. Un’accusa, ovviamente, ampiamente disproporzionata e strumentale che non aiuta minimamente la lotta all’antisemitismo (al riguardo, si veda Daniel Finn, “Antisémitisme, l’arme fatale”, “Le Monde diplomatique”, giugno 2019). Gli esempi purtroppo abbondano, si pensi alle accuse di antisemitismo rivolte in Francia a Mélenchon e alla France Insoumise da parte degli ambienti (politici, intellettuali e giornalistici) vicini a Macron, alla bufera che l’establishment del Partito democratico americano (inclusi la Presidente della Camera Nancy Pelosi e il clan Clinton) ha scatenato sulla parlamentare Ilhan Omar (vicina a Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez) per aver criticato il sistema d’apartheid israeliano, o ancora alla campagna diffamatoria di cui è stato vittima lo stesso Franco Cavalli (leggi qui) dapprima in Svizzera e poi in Germania.

 

In questo allarmante contesto, le ambiguità della definizione IHRA dell’antisemitismo hanno un effetto doppiamente perverso: da una parte banalizzano il risorgente e preoccupante antisemitismo quotidiano alimentato dalla destra populista, e dall’altra imbavagliano chiunque sostenga la causa del popolo palestinese. La sua adozione da parte di entità politiche e statali ha quindi delle gravi conseguenze. Per limitarci al contesto del Regno Unito, dove la definizione IHRA è riconosciuta sia dai principali partiti che dallo Stato, negli ultimi anni le autorità hanno ripetutamente annullato le manifestazioni di solidarietà con la Palestina. Le campagne diffamatorie contro il Partito laburista hanno contribuito a creare un vero e proprio clima di paura, da caccia alle streghe, con decisioni che rasentano l’assurdo. Il caso più evidente data di quest’estate, quando l’associazione “The Big Ride for Palestine” (che raccoglie fondi tramite biciclettate solidali per acquistare materiale sportivo ai bambini di Gaza) si è vista annullare una manifestazione in un quartiere di Londra da parte delle autorità locali per paura che vi venissero espresse delle critiche nei confronti dello Stato d’Israele, in violazione della definizione IHRA dell’antisemitismo (Damien Gayle, “UK Council Refused to Host Palestinian Event over Antisemitism Fears”, “The Guardian”, 3 agosto 2019).

 

Il primo passo da compiere per eradicare definitivamente la piaga dell’antisemitismo dalla nostra società è quindi di distinguere chiaramente tra discriminazione nei confronti degli ebrei e legittima critica politica nei confronti dello Stato d’Israele. È fondamentale, in questo senso, che gli stessi militanti solidali con il popolo palestinese distinguano chiaramente questi due aspetti, assicurando così che la causa della pace in Medio Oriente non venga inquinata dall’antisemitismo.

 

Allo stesso tempo, però, non ci si deve lasciar intimidire da eventuali campagne diffamatorie: criticare lo Stato d’Israele per le sue politiche di discriminazione su base etnica e religiosa, di occupazione militare e di colonizzazione è perfettamente legittimo, e il popolo palestinese che ne paga le conseguenze merita tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Come fu con il regime d’apartheid sudafricano, c’è una sola, legittima soluzione per fermare il disumano regime israeliano: boicottare, disinvestire e sanzionare lo Stato d’Israele fino a che i Palestinesi non potranno tornare alle loro case e godere degli stessi diritti degli altri abitanti del paese.

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