Processo Eternit bis. Schmidheiny a giudizio per omicidio volontario

Intervista al giornalista Claudio Carrer

 

Fece di tutto per negare la pericolosità dell’amianto. Il magnate svizzero Stephan Schmidheiny venerdì 24 gennaio è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Vercelli per l’omicidio volontario di 392 persone, morte a causa dell’amianto che si lavorava della sede della Eternit di Casale Monferrato.

Al giornalista del quindicinale area Claudio Carrer, che segue la vicenda da molti anni, abbiamo posto alcune domande per capire l’importanza di questo processo che si aprirà a Novara il 27 novembre.

 

 

I media italiani hanno dato ampio risalto a questa decisione di nuovo rinvio a giudizio di Schmidheiny…

Sì. Era una decisione molto attesa perché questo è il processo più importante dei quattro che vedono Schmidheiny imputato per i morti d’amianto causati dalle fabbriche Eternit in Italia. Il più importante perché riguarda le molte vittime dello stabilimento di Casale Monferrato, la cittadina del vercellese che ha pagato e sta pagando il prezzo più elevato: le polveri di amianto disperse negli ambienti di lavoro e di vita da un’attività industriale criminale hanno già causato più di 2000 morti e ancora oggi, a più di trent’anni dalla chiusura della fabbrica, ogni settimana viene diagnosticato un nuovo caso di mesotelioma (il tipico cancro da amianto) e si celebra un funerale di una vittima dell’Eternit. Ma questo capitolo del processo Eternit bis ha anche un importante valore simbolico perché è a Casale che ha avuto inizio, già nei primi anni Settanta, la lunga battaglia per la giustizia, in fabbrica, nella società civile e oggi, giustamente, anche nelle aule penali.

 

 

Perché l’Italia è l’unico paese a processare Schmidheiny?

Bisognerebbe forse prima chiedersi perché gli altri non lo fanno. È piuttosto evidente che in generale e un po’ in tutti i paesi non ci sia sufficiente attenzione alla criminalità d’impresa e ai morti da lavoro. L’Italia è in parte un’eccezione. Per quanto riguarda il caso Eternit, il merito va sicuramente alle competenze sviluppate dalla Procura di Torino, che ha svolto un’inchiesta eccezionale da cui è nato il primo maxi-processo per disastro ambientale (da cui Schmidheiny si è salvato solo grazie alla prescrizione) e su cui si fondano i quattro attualmente in corso. E stavolta a suonare è la campana dell’omicidio.

 

 

Perché si stanno celebrando quattro processi?

La Procura di Torino avrebbe voluto celebrare un unico grande processo, ma nel 2016 il giudice dell’udienza preliminare del capoluogo piemontese ha deciso, per una serie di ragioni che non sto a spiegare, di spacchettare il procedimento in funzione delle sedi delle fabbriche. La competenza è così passata a quattro differenti sedi giudiziarie: Torino, dove Schmidheiny lo scorso 23 maggio è stato condannato a quattro anni di carcere per omicidio colposo aggravato per la morte da esposizione all’amianto di un ex dipendente della Eternit di Cavagnolo e di una cittadina che viveva nelle vicinanze della fabbrica; Napoli, dove Schmidheiny dal 12 aprile scorso è sotto processo davanti alla Corte di Assise e dove il reato ipotizzato è quello di omicidio volontario, in relazione alla morte di 6 operai dello stabilimento di Bagnoli e di due loro familiari; Reggio Emilia dove si attendono ancora le prime mosse della Procura, che si occupa delle vittime della sede Eternit di Rubiera; e infine, appunto, Vercelli, dove settimana scorsa è caduta l’importante decisione.

 

 

Schmidheiny afferma di aver fatto di tutto per ridurre i danni dell’amianto compatibilmente con le conoscenze dell’epoca. Come si può immaginare che venga giudicato addirittura per omicidio volontario?

Schmidheiny mente sapendo di mentire. L’inchiesta della procura di Torino dimostra inequivocabilmente che Schmidheiny non solo non ha fatto nulla per ridurre i danni dell’amianto, ma ha fatto di tutto, finché ha potuto, per negarli: con la disinformazione dei lavoratori e dell’opinione pubblica, pagando pseudo-scienziati per delegittimare gli studiosi seri e servendosi di giornalisti compiacenti. In una seconda fase ha invece messo in campo una strategia (comprendente pure lo spionaggio di vittime e magistrati) atta a scaricare le responsabilità ai livelli inferiori della multinazionale, su cui invece lui aveva un controllo totale, come emerge dall’inchiesta. Il suo comportamento era più che lucido e volto a negare l’evidenza, a depistare, a disorientare, il che è indice di un dolo di particolare intensità.

 

 

Come hanno reagito i familiari delle vittime alle recenti dichiarazioni di Schmidheiny, che ha detto di aver provato in passato “odio” nei confronti degli italiani?

Sono rimasti naturalmente colpiti dalle sue parole, ma ancora una volta si sono dimostrati superiori: non provano alcun sentimento di di vendetta o di odio nei confronti dell’imputato. Chiedono semplicemente giustizia, cioè una giusta condanna e giusti risarcimenti ai familiari delle vittime.