Impeachment a suon di tweet

di Marina Catucci, corrispondente da New York

 

L’impeachment di Donald Trump è entrato nella sua seconda fase, vale a dire quella del processo vero e proprio, gestito dal Senato a guida repubblicana.

Prima di arrivare a questo punto, c’è stata un’indagine per vedere se ci fossero gli elementi per aprire un processo di impeachment. Questo è stato votato alla Camera (in mano ai democratici), e adesso è passato al Senato dove serve una maggioranza per sollevare il presidente dall’incarico.

 

Nella spiegazione ai due articoli di impeachment approvati dalla Camera, i Democratici hanno accusato Trump di aver abusato del suo potere e “tradito la nazione”, tentando di arruolare l’Ucraina in un piano di “corruzione delle elezioni democratiche americane”. Arrivare fino a questo punto è stato un percorso travagliato e verboso. Fiumi di parole sono stati versati tra le mura della Commissione di Intelligence e della Commissione Giustizia della Camera. Si sono avvicendati testimoni, si sono susseguite dichiarazioni, si sono tenute assemblee notturne di 13, 14 ore. E da tutto ciò sono emerse non solo prove delle pressioni di Trump sull’Ucraina per indagare su un suo rivale politico, Joe Biden, ma anche l’i dentikit degli attori politici Usa che stanno agendo in questo scacchiere.

 

 

 

Le testimonianze alla camera e twitter

 

I testi che hanno testimoniato alla Camera non sono stati nomi noti e riconoscibili, in quanto la Casa Bianca ha deciso di non collaborare e ha chiesto (o meglio, ordinato) ai suoi sodali di non testimoniare. Non per questo le testimonianze sono state meno deflagranti: diplomatici, burocrati e collaboratori hanno tutti fornito lo stesso quadro per ritrarre una “diplomazia ombra” che agiva in Ucraina parallelamente al canale ufficiale in modo da facilitare la vita politica del presidente americano, il quale non lesinava intimidazioni al canale ufficiale, reo di essere troppo ligio al dovere.

 

L’uso smodato di Twitter come arma offensiva è stato uno dei grandi protagonisti dell’impeachment fino ad ora. Trump ha sempre affermato di non seguire le dirette dei processi, ma ogni volta ha smentito sé stesso commentando e cercando di screditare i testimoni. Se l’impeachment di Nixon si è svolto sui giornali e quello di Clinton in televisione, quello di Trump sta avendo il suo veicolo principale sui social. Per un presidente che governa da Twitter ed è arrivato alla Casa Bianca con (anche) l’aiuto di Facebook e Wikileaks, sembra un percorso coerente.

 

 

 

Lo stile e la prassi di Nancy Pelosi

 

A tenere testa a Trump, oltre che ad aprire questo processo di impeachment, c’è la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi. Pelosi è l’antitesi di “The Donald”: politica di professione, è la prima donna ad essere diventata portavoce della Camera, la terza carica dello Stato dopo presidente e vice presidente, e ha uno stile pacato e fermo, non improvvisa, pianifica sempre. Un tweet di Politico ha riassunto bene lo stile e la prassi di Pelosi: “La speaker Nancy Pelosi non ha mai voluto mettere sotto accusa Donald Trump. Ma ora che sta succedendo, lo sta facendo a modo suo: con tacco 10 e una presa di ferro”.

 

Con il tono solenne e serio che caratterizza lo stile di Pelosi quando parla di costituzionalità, la speaker, aprendo la fase delle indagini, ha detto che “qui è in gioco la nostra democrazia. In America nessuno è sopra la legge. Il presidente non ci lascia altra scelta perché sta tentando di corrompere nuovamente le elezioni a suo vantaggio”. I sei minuti di discorso televisivo con cui Pelosi ha annunciato l’apertura dell’impeachment sono stati un concentrato di solennità statunitense. Con lo sfondo delle bandiere americane, la speaker ha invocato la Costituzione e ha ricordato le origini del Paese nominando i padri fondatori. La stessa sera, nello studio della CNN, Pelosi ha ribadito che non c’è nulla di cui gioire e che è un brutto periodo per gli Stati Uniti, ma che non c’erano alternative al processo d’impeachment.

 

Sulla formulazione degli articoli d’impeachment, la speaker ha spiegato che non è una manovra portata avanti dai singoli deputati o solo da lei: “Operiamo collettivamente. Non sarà che qualcuno mette qualcosa sul tavolo e si agisce. I fatti non sono contestabili. Il presidente ha abusato del suo potere per il proprio vantaggio politico personale a spese della nostra sicurezza nazionale”. Dopo aver chiuso la fase d’indagine della Camera, Pelosi ha deciso di bloccare l’ingranaggio per costringere il Senato ad implementare un processo equo: poco dopo aver messo sotto accusa Trump, ha usato in modo creativo il suo potere per rallentare lo scorrere degli eventi. Anziché nominare immediatamente i direttori incaricati di perseguire il caso al Senato, così come richiede la Costituzione, Pelosi ha deciso di aspettare di avere più dettagli e di vedere che tipo di processo stesse preparando il Senato. Questa mossa è stata possibile in quanto la Costituzione non è chiara riguardo le tempistiche di consegna degli articoli. Non nominare i direttori e non consegnare gli articoli di impeachment permette ai Democratici di esercitare pressioni sui Repubblicani che guidano il Senato.

 

 

 

Le mosse di McConnell

 

Mitch McConnell, leader della maggioranza GOP alla Camera alta, aveva subito respinto la proposta dei Chuck Schumer, leader della minoranza democratica, di includere testimoni chiave, tra cui il capo dello staff di Trump, Mick Mulvaney, e l’ex consigliere del presidente per la sicurezza nazionale, John Bolton. Ora, riaprendo i lavori del Congresso, McConnell ha dichiarato di avere i voti necessari per dare forma a un processo di impeachment alle sue condizioni, permettendogli di andare avanti senza raggiungere un accordo con i Democratici, che vorrebbero chiamare nuovi testimoni. Il piano presentato da McConnell prevede che i deputati della Camera e il presidente presentino argomenti di apertura prima che i senatori mettano in discussione entrambe le parti. La decisione riguardante le deposizioni di eventuali testimoni avverrebbe solo in seguito. Il piano è simile a quello usato nel 1999 durante il processo di impeachment di Bill Clinton, e approvato con voto unanime. Allora, però, al momento del processo in Senato le dichiarazioni di tutti i principali testimoni erano già state rese pubbliche, mentre questa volta Trump ha trattenuto i testimoni chiave e quasi ogni prova documentale relativa al caso.

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