Di infami, di rose e di zecche

di Luigi Pagani, detto ul matiröö

 

Se esiste una cosa più ignobile degli uomini in divisa a cui piace pestare un uomo inerme, sono le istituzioni che li proteggono. Chiariamo il concetto. 

Un poliziotto che fa il suo mestiere con coscienza, motivato da un senso di giustizia e dotato di umanità, merita rispetto e gratitudine. Se invece approfitta del potere conferito dalla sua divisa, dei mezzi coercitivi di cui la collettività lo ha dotato, per sfogare le sue frustrazioni picchiando una persona, è un uomo di merda.

 

Scusate il francesismo, ma le parole sono importanti e vanno usate in maniera appropriata. Ancor più inaccettabile è quando le istituzioni, nei loro molteplici livelli, impediscono l’accertamento della verità, coprendo quell’infame persona. Chi ha visto “Sulla mia pelle”, il film sul caso Cucchi, sa di cosa si parla. Ma al solito, si dirà che queste cose succedono in Italia, non da noi.

 

Allora capita che un ragazzino, dal volto mite e di esile corporatura, colpito dalla disgrazia di nascere tra quei sessanta milioni di persone che vivono in povertà assoluta in Pakistan (un terzo degli abitanti), si trovi nella benestante Lugano a vender rose per sopravvivere.

 

È risaputo quanto alla gente perbene questi venditori provochino l’urticaria nel solo vederli. Due solerti giustizieri in divisa, acchiappano l’abbronzato di turno per fargli passare la voglia di venir nella loro città. Nello sgabuzzino, dopo avergli preso il modesto ricavato dalla vendita di rose, lo deridono e iniziano a volare parole grosse, spintoni e schiaffoni. Sberle, non pugni. Perché nell’ambiente è risaputo, gli schiaffoni non lasciano prove di segni evidenti. Salvo l’ultimo che, tirato con un po’ troppa veemenza, fa saltare un timpano al ragazzino. Ma poco importa. Nessuno crederà alla versione dello straniero, del clandestino e poveraccio illegale ambulante.

 

Ma sfortuna vuole che qualcuno gli creda. Sono quei brozzoni degli autogestiti, quegli odiosi multikulti, quelle zecche rosse sempre pronte a schierarsi con gli ultimi. Non solo gli credono, ma gli trovano pure un bravo avvocato a cui capita di regalare le sue competenze ai poveracci, in un irrazionale senso di giustizia.

 

Il muro di gomma deve dunque essere eretto. Un mattone d’omertà si poggia sull’altro. I due agenti negano di averlo sfiorato. Anzi, non l’hanno mai visto e non sono mai stati in quel posto a quell’ora. I superiori rifiutano di consegnare le prove che lo dimostrino. A difender i bravi agenti, si schierano pure con tanto di copiose testimonianze, degli autorevoli politici cittadini, fino alla carica più alta. La Procura chiude veloce l’incarto. Poi viste le evidenti lacune, è costretta a riaprilo, per poi richiuderlo rapidamente con un secondo nulla di fatto. Anche il ricorso alla seconda istanza, cantonale, conferma la scelta della Procura ticinese. Ma le zecche e l’azzeccagarbugli non mollano. Si va in Svizzera, al Tribunale federale. Quest’ultimo sentenzia che l’inchiesta presenta molti lati oscuri, che non è affatto certo che gli agenti siano innocenti. A deciderlo, sentenzia il TF, dovrà essere un Tribunale, non la Procura.

 

Naturalmente, i due poliziotti e gli autorevoli personaggi schieratisi in loro difesa, negano la versione del giovane pakistano fin qui riassunta. Alla fine, deciderà un giudice. Ma affinché le gentili lettrici possano farsi un’idea più completa, è giusto che sappiano altri dettagli sui due agenti. Uno dei due, alla fine, lo cacciarono dalla polizia comunale. Era coinvolto nella brutta storia della ragazzina minorenne che guidava le volanti della comunale. Per carità, lei era sedicenne e dunque legalmente consenziente nelle relazioni sessuali intrattenute. A Collina d’oro ebbero la geniale intuizione di assumerlo come vice comandante, salvo poi esser costretti a cacciarlo quando si seppe pubblicamente.

 

Ma quella della ragazzina non era l’unica brutta vicenda in cui l’agente era coinvolto. «Quel che par di capire è che molti, più o meno direttamente, sapessero. Sapessero della presenza di una minorenne – a cui erano permesse alcune azioni (come la guida di un’auto di servizio) – e anche di altro, stando a quanto sta emergendo, tuttora al vaglio degli inquirenti» aveva scritto la Regione. «Era infatti a lui che molte persone, anche in divisa, si rivolgevano per ottenere gli accessi alle varie piattaforme che permettono di vedere, ad esempio, eventi sportivi».

 

Vuoi non proteggere un così bravo e generoso agente, dalle calunniose accuse di un poveraccio pakistano e i suoi amichetti rossi? Anche perché, da noi, certe cose non succedono…

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