di Francesco Bonsaver
Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia Ticino e Moesa: «Uno stallo che aggiunge incertezza a un contesto già difficile»
Oggi, il Consiglio federale ha deciso di non decidere. Non ha ufficialmente "punito" il Ticino per aver decretato autonomamente la chiusura di tutte le attività non essenziali, ma nemmeno ha concesso la deroga all'autonomia cantonale in questo campo. Come leggere questa non risposta, lo chiediamo a Giangiorgio Gargantini.
La non decisione odierna del Consiglio federale sullo stop alle attività produttive non essenziali introdotto dal Ticino, come interpretarla?
C’è una posizione di stallo, che, oltre alle diferenze di vedute tra Berna e Ticino, denota anche una probabile spaccatura all’interno del Consiglio federale. Purtroppo, lo stallo è negativo perché lascia trasparire un dubbio quando la popolazione ha invece bisogno di certezze. Alla situazione sanitaria molto preoccupante e ai legittimi dubbi di aziende e lavoratori di riuscire a sopravvivere economicamente, sarebbe decisamente preferibile evitare di aggiungere delle incertezze politiche.
D’altra parte, Berna non ha nemmeno sconfessato ufficialmente il Ticino, ma ha lasciato degli spiragli di soluzioni. Il fronte ticinese reggerà compatto nell’attesa?
Dietro la decisione del Consiglio di Stato c’è un intero cantone, tra cui anche le associazioni padronali e sindacali. È chiaro a tutti quelli che lavorano sul terreno che non ci sono le condizioni per lavorare in sicurezza e contrastare la diffusione del contagio in maniera efficace. Per questa ragione, quasi all’unanimità, è stato chiesto lo stop della produttività, salvo le attività essenziali.
Il Consiglio federale e padronato nazionale dicono: chi non lavora in sicurezza, deve chiudere. Perché essere contrari a questo sistema?
Lo stop consente di ridurre i rischi in attività lavorative non necessarie, per concentrare gli sforzi per garantire la sicurezza dove bisogna produrre perché essenziale. Non è oggettivamente possibile nel contesto odierno andare a controllare cantiere per cantiere, industria per industria, posto di lavoro per posto di lavoro, in un lasso di tempo brevissimo per verificarne la sicurezza.
Dei dirigenti del padronato industriale nazionale, hanno criticato la decisione ticinese affermando che così facendo si mette in difficoltà l’intera filiera, ponendo dei problemi di approvigionamento anche a quella ritenuta essenziale.
È un’accusa strumentale. Il Canton Ticino, nell’elaborazione della definizione di attività essenziali, ha tenuto conto dei flussi vitali per l’industria essenziale, sanitaria e alimentare. Questo pericolo è inesistente e strumentale da chi vorrebbe continuare a far lavorare come nulla fosse.
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