Solidarietà con il Rojava

Gioventù Biancoblu

 

La solidarietà è la tenerazza dei popoli (Ernesto “Che” Guevara).

Siamo tutti sulla stessa barca, è la cantilena che ci viene proposta da più parti in questi giorni di emergenza coronavirus. Ma se è vero che navighiamo a vista in un periodo di incertezze e dubbi, la barca non è uguale per tutte e tutti.

C’è chi se ne sta svaccato su un’elegante barca a vela, postando a più riprese inviti a non uscire di casa e immagini di nuove ricette più o meno riuscite. Solo alcuni però hanno una tale imbarcazione sulla quale passare tranquillamente le giornate. Ci sono uomini e donne che giornalmente devono prendere la barchetta a remi per recarsi al lavoro, perché quelli sulla barca a vela hanno deciso così. Sono gli operai, le commesse, le dipendenti dell’industria, i corrieri a domicilio e i lavoratori agricoli che ogni giorno, nonostante i pericoli, devono lavorare. Lavorano perché non hanno scelta. Perché il lavoro permette a loro e al resto della popolazione di sopravvivere. Ci sono poi gli operatori sanitari di ogni genere e ruolo che si sono visti nel corso degli anni ridurre l’imbarcazione da continui tagli alle spese sociali e sanitarie, ma che a lavorare, al mattino presto, andrebbero anche a nuoto.

 

C’è chi una barca non ce l’ha. C’è chi in questi giorni difficili ha dovuto costruirsi una zattera con materiale di fortuna. Il personale domestico, i sans-papiers, le recluse nelle nostre carceri, i migranti rinchiusi nei bunker o nei centri d’accoglienza. Tra loro, come sopra, soprattutto donne, che si vedono costrette a lavorare, per pulire le barche a vela e consegnare cibo a domicilio. Senza dimenticare chi ha già perso i pochi introiti vitali o chi deve rinunciare alle visite che spezzano, almeno momentaneamente, le sbarre di ogni prigione. E un pensiero di vicinanza e d’affetto va anche a tutti e tutte coloro che hanno perso - qui da noi, altrove, poco importa - una persona cara, un famigliare, un’amica, smarrendo la bussola in questo mondo di barche, barchette e zattere.

 

Una zattera è meglio di niente, ma ci sono interi popoli che non hanno nemmeno il materiale per costruirla. Tra di loro circa due milioni di uomini e donne che vivono e lottano in Rojava, territorio curdo nel nord est della Siria. Un territorio martoriato da nove anni di conflitto armato, dove al momento ci sono tre ospedali attrezzati con un reparto di terapia intensiva (di cui solo uno interamente funzionante), 28 posti letto, dieci ventilatori polmonari per adulti e uno per bambini. Senza menzionare i campi profughi con migliaia di persone in fuga da guerre e attacchi infami. Come se non bastasse, la Turchia comandata con il pugno di ferro da Erdogan, i cui post piacciono assai al nostro smagrito sceriffo, ha negli ultimi mesi bombardato diverse strutture sanitarie e ha deciso di bloccare l’approvvigionamento d’acqua in una parte del territorio, rendendo ancora più precarie le condizioni di vita e igienico-sanitarie di chi vive lì.

 

Queste persone, che lottano ogni giorno, anche in questo momento, contro il nulla che avanza, non possono materialmente costruirla, la zattera. Consci di queste difficoltà, abbiamo deciso di muoverci in modo solidale e complice per portare il nostro sostegno, morale e materiale, al popolo del Rojava. Oltre al progetto solidale lanciato qualche mese fa per la costruzione di un campo sportivo in una scuola locale, lanciamo ora una raccolta fondi destinata all’emergenza sanitaria. I soldi saranno destinati all’acquisto di respiratori e altro materiale medico, nonché alla (ri)costruzione di ospedali ed altri luoghi di cura.

 

Verrà il momento per il campo sportivo, ma ora è il momento di concentrare gli sforzi per far fronte all’urgenza sanitaria. Perché le zattere unite diventano ponti. E gli eleganti natanti non passano più.

 

PER CONTRIBUIRE:

Intestato a: Comitato ticinese per la ricostruzione di Kobane, via Prada 9, 6932 Breganzona Conto corrente postale: 69-605609-5

IBAN: CH78 0900 0000 6960 5609 5

Menzione: Sostegno Sanitario Rojava