Un reddito di base incondizionato come via d'uscita

di Francesco Bonsaver

 

Christian Marazzi: «Per far fronte alle difficoltà di sopravvivenza e garantire i consumi dopo la crisi sanitaria s'imporrebbe una misura sociale universale». Il debito pubblico? «Servono modalità di finanziamento socialmente ed economicamente eque»

 

Una prestazione sociale universale come il reddito di base incondizionato. Questa la «via d’uscita collettiva» dalla grave crisi economica causata dall’epidemia di coronavirus indicata da Christian Marazzi, ricercatore sociale ed economista e professore all’Università di Losanna e alla Supsi. Le ragioni le spiega in questa intervista, nella quale analizza anche la questione dell’inevitabile crescita del debito pubblico svizzero nel contesto dell’emergenza attuale.

 

 

Professor Marazzi, insieme all’emergenza sanitaria, si dovrà affrontare la crisi economica e sociale. La Confederazione ha adottato rapidamente delle misure quali lavoro ridotto e credito facilitato. Saranno sufficienti?

Malgrado le misure già adottate, andremo incontro a una riduzione del reddito, perlomeno del 20 per cento nel caso di chi percepirà l’indennità del lavoro ridotto o l’indennità perdita di guadagno. Visti i numeri di chi ne sta già beneficiando, equivale a una forte contrazione della domanda, dei consumi. Ciò costituirà un grosso problema qualora ci si avvicinasse alla ripresa. Per le imprese indebitate col credito facilitato a copertura statale, sarà molto difficile uscirne in assenza di una domanda attesa che garantisca un adeguato livello di consumo.

 

 

Quali alternative esistono?

Credo che una delle possibili vie di uscita sia il reddito di base incondizionato. Ci sono due motivi per cui il tema va affrontato oggi. Il primo, per molta gente la riduzione del reddito salariale o degli indipendenti, equivale a serie difficoltà di sopravvivenza. In secondo luogo invece, come detto, le imprese riprenderanno a investire se avranno la prospettiva di una domanda di consumo. Il reddito di base incondizionato assume così anche una valenza macro-economica in questo contesto inedito.

 

 

In votazione popolare nel 2016, la proposta di un reddito di base incondizionato fu respinta seccamente. Perché oggi dovrebbe passare l’idea?

Storicamente, lo stato sociale ha fatto un balzo quando la società si è trovata confrontata a un nemico comune. L’esempio in Svizzera è l’Avs, introdotta solo subito dopo la Seconda guerra mondiale, dopo decenni di rifiuti da parte del padronato. Oggi, davanti al nemico comune, la via d’uscita deve essere un’altra misura sociale universale, valida per tutte e tutti. Il reddito incondizionato di base lo rappresenta, perché coprirebbe tutte le componenti della società ed è una forma di risarcimento della sofferenza.

 

 

Le misure urgenti solitamente rientrano una volta passate le crisi. Anzi, dopo quella del 2008, sono arrivate le politiche di austerità e relativi tagli alla socialità.

La vera sfida sarà dare continuità alle misure di emergenza. Fare in modo che l’eccezionalità diventi la norma. È la condizione per uscirne tutti insieme. Dalla devastante crisi economica degli anni Trenta, si uscì con la costituzione dello stato sociale. È una condizione essenziale: fare delle misure eccezionali uno stato sociale permanente. Il reddito da pandemia deve diventare un reddito di base permanente. Su un punto vorrei esser chiaro: il reddito dovrebbe essere aggiuntivo alle prestazioni sociali già esistenti, non sostitutivo.

 

 

Lei ci ha aiutato a comprendere la società degli ultimi decenni, contribuendo alla diffusione e comprensione del termine postfordismo. Come sarà la società postpandemia?

Vedo un modello di società centrato su sei settori fondamentali di attività umane per l’uomo, di produzione dell’uomo attraverso dell’uomo. Mi riferisco alla sanità, alla socialità, alla formazione, alla ricerca e alla cultura. Quest’ultima dovrà essere in grado di reinventarsi a fronte di questo nuovo contesto, dove interiorizziamo la solitudine. La cultura dunque quale antidoto immunitario alla solitudine. Infine, vi è un altro settore ovviamente fondamentale, quello ambientale. L’umanità si trova in questa situazione per aver stressato il pianeta, abbassandogli le sue difese immunitarie. Non possiamo più ignorare la questione ambientale. Tutti questi settori erano già emergenti in precedenza, ma ora si stanno imponendo nella loro evidenza e saranno gli assi fondamentali di una società post coronavirus.

 

 

Tutti noi stiamo vivendo dei momenti ambivalenti in questa crisi. A volte siamo estremamente pessimisti, davanti alla prospettiva di un’inevitabile disastro sociale, dato dall’acuirsi delle diseguaglianze già presenti. Altre volte invece siamo ottimisti, intravedendo nella crisi l’opportunità per costruire una società alternativa migliore. Dalla discussione con lei, si ha la sensazione di collocarla tra gli ottimisti...

Tutti noi abbiamo momenti di scoramento, guardando quel che succede attorno a noi. Ma credo che sia politicamente vietato essere pessimisti.

 

 

«Saremo molto vicini all’economia», si è affrettato ad assicurare sin dai primi giorni della crisi il Consiglio federale. A distanza di qualche settimana quali sono le valutazioni di Christian Marazzi?

Direi che il Consiglio federale ha mantenuto i patti. Se pensiamo che per i crediti agevolati alle imprese sono stati erogati 40 miliardi di franchi mentre per il lavoro ridotto dei salariati ne sono stati destinati otto, le proporzioni appaiono evidenti. Ma occorre guardare da vicino la misura dei crediti facilitati, perché spesso il diavolo lo si trova fra i dettagli. Il finanziamento dei crediti facilitati, presumo, proviene dalle riserve che gli istituti privati hanno depositato presso la Banca nazionale. Depositi sui quali le banche pagano un interesse negativo dello 0,75%, mentre i prestiti alle aziende erogati dalle banche sono a tasso zero nel caso dei crediti inferiori ai cinquecentomila franchi, dello 0,5% quando superiori. Le banche hanno dunque tutto l’interesse nell’operazione dei crediti agevolati, non fosse altro che per una questione d’interessi negativi e positivi pagati sui capitali. Sento l’odore di sovvenzionamento statale del sistema bancario.

 

 

Può spiegarci come si costituiscono le riserve di capitali degli istituti privati depositati presso la Bns?

Queste riserve si creano grazie all’intervento della Banca Nazionale a difesa del franco svizzero (è il quantitative easing made in Switzerland). Si crea liquidità per intervenire sul mercato dei cambi per smorzare la rivalutazione del franco, acquistando euro o dollari dalle banche commerciali. Le quali banche depositano le riserve in eccesso così realizzate presso la Bns. Queste riserve si stanno gradualmente avvicinando ai mille miliardi di franchi (superano già il Pil svizzero), e cresceranno ancora parecchio sull’onda delle politiche monetarie europee ultraespansive e il conseguente rischio di sopravvalutazione del franco.

 

 

Perché è così importante capire come si finanzia il debito pubblico?

La modalità di finanziamento del debito pubblico determina gli sviluppi futuri dello Stato sociale. Un conto è se sono le banche centrali a finanziare direttamente la spesa pubblica, un’altra se lo fanno le banche private “per delega”. Come noto, quest’ultime non sono istituti di beneficenza, e non mancheranno di fare pressione per tornare quanto prima al rigore finanziario, cioè ai tagli della spesa pubblica, quella sociale in particolare. Avendo finanziato loro il debito pubblico, avranno solidi argomenti per convincere il governo ad adeguarsi alle loro richieste. Dobbiamo prepararci a proporre modalità di finanziamento del debito alternative, più eque, sia socialmente sia economicamente.

Tratto da: