«La Svizzera non era minimamente preparata e ha ignorato dati conosciuti»

di Claudio Carrer

 

Se l’Europa è oggi centro mondiale della pandemia è perché non ha guardato all’Asia, accusa il cardiochirurgo zurighese Paul Robert Vogt.

 

 

«Se si fosse preso atto dei dati medici in gran parte conosciuti già a fine febbraio e se si fosse stati capaci di separare ideologia, politica e medicina, oggi la Svizzera si troverebbe molto probabilmente in una situazione migliore: non saremmo il secondo paese con il più alto numero di positivi al Covid-19 e avremmo un numero significativamente più basso» di morti. Inoltre, «con ogni probabilità, non avremmo un “lockdown” parziale della nostra economia e nemmeno la discussione su come uscirne». È uno dei passaggi centrali di una presa di posizione (pubblicata il 7 aprile sulla Mittelländische Zeitung e aggiornata il 20) del professor Paul Robert Vogt, cardiochirurgo zurighese e profondo conoscitore della realtà cinese per averci lavorato ed essere da un ventennio in costante contatto con un importante ospedale universitario di Wuhan, la città epicentro della pandemia.

Una pandemia che lo tocca anche come specialista del cuore: «Il 30% dei pazienti col Covid-19 che non sopravvivono alle cure intensive muoiono per problemi cardiaci», spiega Vogt in apertura del suo testo, che si è deciso a scrivere per controbattere alla cattiva informazione «con dati e informazioni affidabili, che si fondano su lavori scientifici pubblicati dalle migliori riviste». Ne esce un documento estremamente interessante, che stabilisce tutta una serie di verità e che mette a nudo gli errori e le ingenuità commesse in Europa e in Svizzera in particolare.

 

 

I casi sono molti di più

Vogt parte dai numeri segnalando l’«imprecisione» del «mucchio di dati che attualmente ci vengono forniti» con un tocco di «sensazionalismo». Per valutare la gravità della pandemia e la pericolosità del virus servirebbero altri dati, oltre che una definizione esatta e valida a livello mondiale della diagnosi “malato di Covid-19”. Sarebbe in particolare importante conoscere il numero di infetti asintomatici, ma per questo si sarebbero dovuti fare test di massa sin dall’inizio. «Oggi possiamo solo fare supposizioni». E uno studio cinese-americano pubblicato già il 16 marzo ci dice che per 14 casi documentati bisogna calcolarne 86 non documentati. In Svizzera, «si può dunque ritenere che il numero delle persone positive al Covid-19 è di 15-20 volte superiore» a quello che ci viene presentato.

 

 

Non una semplice influenza

Altra questione sensibile è la gravità della malattia. Si tratta di una normale influenza stagionale che passa senza far nulla o di una pandemia pericolosa che richiede misure rigide? Questa domanda, chiarisce innanzitutto il dottor Vogt, «non va sicuramente posta agli statistici, che non hanno mai visto un paziente. E poi la pura valutazione statistica di una pandemia è comunque immorale». È «la gente al fronte» che bisogna interrogare. E questa gente dice che si tratta di un virus pericoloso: «Nessuno dei miei colleghi – e naturalmente nemmeno io – e nessuno del personale di cura si può ricordare negli ultimi 30 o 40 anni di una situazione come quella attuale con intere cliniche piene di pazienti con la stessa diagnosi e interi reparti di terapia intensiva pieni di pazienti con la stessa diagnosi, con il 25-30% del personale medico e infermieristico che contraggono la stessa malattia dei loro pazienti, con la carenza di respiratori, con una selezione dei pazienti resasi necessaria non per motivi medici ma per la mancanza di materiale, con tutti i malati più gravi con lo stesso quadro clinico, con la stessa modalità di morte per tutte le persone decedute nelle terapie intensive, con il pericolo di esaurimento del materiale medico e dei farmaci».

Per dare un’idea delle differenze, Vogt sottolinea alcuni dati sulle vittime annuali della normale influenza (su cui peraltro non esistono dati certi). Ammettendo 1.600 morti all’anno in Svizzera, «sono 1.600 in 12 mesi e senza l’adozione di misure di protezione. Con il Covid-19 ci sono stati 600 morti in un mese nonostante le contromisure, che si calcola riducano la diffusione del virus fino al 90 per cento. Ci si può dunque immaginare in quale scenario ci troveremmo senza misure», scrive Vogt, sottolineando anche come nell’ambito di una normale influenza viene contagiato circa l’8 per cento del personale curante ma non muore nessuno. Con il Covid siamo invece al 25-30% di infettati e con una mortalità significativa: «Dozzine di medici e infermieri che hanno curato pazienti Covid sono morti della stessa infezione».

 

 

Puzza di eugenetica

“Muoiono solo persone anziane e malate”. Di fronte a questa affermazione, il dottor Vogt precisa innanzitutto che «in Svizzera l’età delle persone decedute è compresa fra 32 e 100 anni. Inoltre ci sono studi e rapporti che dimostrano che sono morti anche dei bambini». E sul fatto che la «presunta» età media dei deceduti sia di 83 anni, Vogt afferma: «Da molti, da troppi nella nostra società, viene liquidato come qualcosa di trascurabile. Raggiungere un’età avanzata in salute e in maniera indipendente è un bene supremo, per il quale noi in Svizzera abbiamo investito nel settore sanitario. Ed è un risultato della medicina se anche con tre patologie si può invecchiare con una buona qualità di vita. Queste conquiste della nostra società non hanno improvvisamente più alcun valore ma sono anzi un fardello?», si chiede polemicamente Vogt, denunciando taluni articoli e commenti sui media «che vanno oltre ogni limite e che sanno di eugenetica».

 

 

Si doveva sapere

«La Svizzera era minimamente preparata a questa pandemia? No; Sono stati adottati provvedimenti quando il Covid-19 è scoppiato in Cina? No; Si poteva sapere che una pandemia da Covid-19 si sarebbe diffusa nel mondo? Sì, era annunciata e i dati sono disponibili sin dal marzo 2019». Sono tre domande e tre risposte che riassumono bene le conclusioni cui giunge Vogt, che nel suo testo cita 8 «concreti e chiari avvertimenti» che erano giunti negli ultimi 17 anni (epidemie come Sars e Mers, lavori di ricerca, studi e pubblicazioni). L’ultimo è giunto nel marzo dell’anno scorso da Wuhan ed affermava che vi sarebbe stata «con certezza» una nuova pandemia da coronavirus con la Cina come punto caldo. E ai primi casi di Wuhan, a partire dal 31 dicembre 2019 quando la Cina fece la segnalazione all’Oms, sono subito seguite diverse pubblicazioni scientifiche nelle riviste americane e britanniche più prestigiose: «Bastava leggerle per sapere cosa ci stava arrivando e cosa c’era da fare», afferma il dottor Vogt.

 

Cosa ha fatto la Svizzera? «Apparentemente il nostro governo federale, il nostro Ufficio federale della sanità, i nostri esperti, la nostra Commissione federale per la preparazione e la risposta alle pandemie non ne sapevano nulla. Senza per forza dover informare la popolazione e suscitare inutile panico, si sarebbe perlomeno potuto fare scorte di materiale. Che la Svizzera, con una spesa sanitaria di 85 miliardi di franchi, si ritrovi con carenze di mascherine, disinfettante e materiale medico, è una vergogna», denuncia il dottor Vogt.

 

E gli errori sono proseguiti anche oltre, con la mancata adozione di misure (come la chiusura delle frontiere o il tracciamento dei contagiati) che hanno dato prova di successo in Cina e altrove. «Taiwan, per esempio con le sue 124 misure (pubblicate molto presto) ha il minor numero di infettati e di morti e non ha dovuto arrestare l’economia», al pari della Corea del Sud e Singapore. «Se ci si fosse informati, si avrebbe visto che certi paesi ne sono usciti senza dover ricorrere a misure drastiche. In Svizzera si sono adottate al massimo misure semi-rigide lasciando che la popolazione si infettasse, nel vero senso del termine. Le misure più rigide sono state adottate troppo tardi. Se si fosse reagito prima, probabilmente non sarebbe nemmeno stato necessario il lockdown».

 

 

La propaganda politica

Ma come si è guardato all’Asia?, si interroga dunque il dottor Vogt: «La risposta è chiara: con arroganza, ignoranza e saccenteria. Tipico europeo, o dovrei dire, tipico svizzero?». Se l’Europa è diventata in brevissimo tempo il centro mondiale della pandemia è perché, spinta da «ragioni politiche e ideologiche», ha ignorato dati medici accertati. Senza dubbio la struttura di “comando e controllo” della Cina all’inizio ha portato a celare importanti informazioni, ma i fatti dicono che nella fase di contenimento della pandemia è stato vero il contrario, spiega Vogt citando una serie di esempi. Il 31 dicembre la Cina ha informato l’Oms dei primi casi di polmonite atipica a Wuhan e il 7 gennaio ha fornito al mondo il genoma completo del virus per consentire lo sviluppo immediato dei test. E la Cina in gennaio ha blindato Wuhan (contro il parere dell’Oms) e, secondo vari team internazionali di ricerca, le misure precoci e radicali hanno salvato la vita a centinaia di migliaia di persone. Infine, nei primi due mesi dell’anno sono stati pubblicati eccellenti lavori scientifici di autori cinesi e americani «da cui si sarebbero dovute apprendere le caratteristiche di questa pandemia e le misure da adottare», afferma Vogt. Ma in Europa e in Svizzera (con Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna nel gruppo “di testa” per numero di morti su 100.000 abitanti!) si è dormito. «I politici e i media elvetici – aggiunge Vogt – invece di concentrarsi sul proprio fallimento, distraggono la popolazione con continui e stupidi attacchi alla Cina. Come si fa a criticare altri paesi quando con il secondo sistema sanitario più caro del mondo si ha il secondo maggior tasso di infettati e non si dispone a sufficienza di mascherine, disinfettanti e materiale medico?».

 

 

Cosa possiamo sperare

Riguardo al futuro che ci attende, per il dottor Vogt «è possibile che la Svizzera sia ancora in grado di contenere l’epidemia ma anche che l’infezione della popolazione prosegua indisturbata perché all’inizio si è dormito con le misure. Se è così, si può solo sperare che non dovremo pagare questa “politica” con troppi morti e malati gravi. E che non troppi pazienti soffrano delle conseguenze di lungo termine del Covid-19 (fibrosi polmonare, malattie cardiache). Speriamo che questa infezione si comporti in maniera differente di quella della Sars, che ha fatto registrare strascichi fino a 12 anni dopo la dichiarata guarigione».

 

L’uscita dal lockdown (che il Consiglio federale prevede in tre tappe a partire dal 27 aprile), afferma Vogt, «è inevitabile» ma dobbiamo sapere che «ogni allentamento è in sé un salto nel buio e dovrà essere accompagnato da uno stretto monitoraggio sul numero di ospedalizzati e di ricoverati in terapia intensiva per 100.000 abitanti» e se del caso adattare le misure.

 

In previsione di una possibile seconda ondata pandemica in autunno, l’obiettivo deve essere quello di evitare vittime senza dover discutere di un nuovo lockdown, afferma Vogt. Mascherine, disinfettanti, distanze e immediato isolamento dei focolai sono le «misure basilari» che «se applicate in maniera conseguente e precoce» riducono in maniera efficace la diffusione del virus.

 

Guardando ancora oltre, il dottor Vogt auspica che «conoscenza e cooperazione prendano il posto di ignoranza e arroganza, perché la sfida è globale. E la prossima pandemia è alle porte. Sarà forse causata da un super-virus e assumere una dimensione che preferiamo non immaginare», conclude.

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