Una sconfitta di classe

di Franco Cavalli

 

Come ci si poteva aspettare, i milioni investiti dalla lobby degli speculatori immobiliari nella campagna contro l’iniziativa “Più abitazioni a prezzi accessibili”, alla fine è riuscita a convincere la maggioranza dei votanti a rifiutare l’iniziativa, che ancora alcuni mesi fa (prima che si scatenasse l’orgia delle fake news della propaganda prezzolata) segnava un altissimo grado di gradimento.

Ma non è tanto di quest’aspetto che voglio parlare oggi: diversi studi, realizzati dal fondo nazionale svizzero di ricerca, hanno dimostrato più volte che quasi sempre, quando un oggetto in votazione tocca interessi economici importanti, a decidere è la quantità di milioni che i contendenti possono mettere in campo.

 

Mi interessa invece una valutazione a proposito di chi ha sostenuto o ha rifiutato l’iniziativa in votazione. Ci sono i parametri ovvi: il Röstigraben, dato che la maggioranza dei cantoni romandi ha approvato l’iniziativa. Il fatto che la stragrande maggioranza dei votanti che si riconoscono nel PS e nei Verdi l’hanno approvata, mentre i sostenitori dei partiti borghesi l’hanno altrettanto chiaramente rifiutata. L’iniziativa è poi stata plebiscitata nelle grandi città, massicciamente rifiutata nelle campagne. A giocare, soprattutto nella Svizzera tedesca, è stata anche la paura, da tempo coltivata sapientemente dai partiti borghesi, di un intervento “spropositato” dello stato.

 

Ma gli exit poll realizzati su più di 1’000 votanti da Tamedia hanno messo in risalto un aspetto particolarmente interessante: ad essere decisiva è stata soprattutto la forza economica dei votanti. Tanto più basso il reddito disponibile, tanto più numerosi sono stati i “sì”, mentre tra coloro che hanno un reddito mensile superiore a 11’000 franchi, i “no” l’hanno fatta da padrone. C’è stata quindi chiaramente una sconfitta delle classi meno abbienti.

 

Ma uno potrebbe dire: siccome i ricchi sono molto meno numerosi dei poveri, come mai non ha allora trionfato il “sì”? Qui viene una seconda considerazione, secondo me sempre più importante e valida per tutte le “democrazie” occidentali. Mentre i più abbienti continuano a recarsi in massa alle urne, la partecipazione è inversamente proporzionale al reddito e soprattutto tra i meno abbienti, coloro che vanno a votare diventano sempre più l’eccezione e non la regola. Questo spiega come mai la partecipazione, anche per oggetti importanti come quelli su cui si è deciso il 9 febbraio, stenta a livello nazionale a superare il 40%, mentre in Ticino è ancora più bassa.

 

Questi dati fanno il paio con la partecipazione di poco più di un terzo dell’elettorato che si registra nella maggior parte dei cantoni, quando si tratta di scegliere gli esecutivi cantonali. Questa disaffezione si spiega con il fatto che oramai tutti sentono come le decisioni fondamentali nelle nostre società vengano sempre più frequentemente prese dai potentati dell’élite economica e sempre meno dai parlamenti. Anche perciò si diffonde quindi, soprattutto nei meno abbienti, l’idea che sia inutile andare a votare: “tanto quelli là fanno lo stesso quello che vogliono”.

 

La sinistra, che ha come obiettivo fondamentale quello di difendere gli interessi dei meno abbienti, si trova di fronte quindi ad una sfida epocale: come riportare alle urne coloro per cui ci si batte? Finora non ci siamo mai posti chiaramente questa domanda: è più che ora di farlo

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