"Caro avvocato, si sbaglia di grosso"

di Franco Cavalli

 

Sembrava un sistema indistruttibile, a prova di bomba. È bastata invece una piccola struttura chimica, senza vita propria e capace di riprodursi solo nel suo ospite (questo è un virus) per scatenare quella che sembrerebbe poter diventare una crisi perlomeno altrettanto grave di quella degli anni Trenta del secolo scorso. 

 

Stiamo pagando la globalizzazione estrema intervenuta dopo la caduta del Muro di Berlino, caratterizzata dal just in time, da stock zero e da filiere di produzione sempre più lunghe, alla ricerca di costi di produzione sempre più bassi. È bastato che un paio di tasselli venissero a mancare perché tutta la filiera crollasse. È indubbio che il neoliberismo imperante, versione dura del capitalismo, ha ingigantito l’impatto della pandemia. Nonostante gli appelli degli scienziati, che dopo la SARS del 2003, chiedevano, per evitare disastri come l’attuale, lo sviluppo di nuovi vaccini, i monopoli farmaceutici, retti ormai secondo il principio dei guadagni borsistici a breve scadenza, hanno preferito concentrarsi sulla produzione di farmaci ad alto margine di profitto, ciò che non è il caso per i vaccini.

 

Nella maggior parte dei Paesi, gli ospedali pubblici trasformati in aziende hanno ridotto drasticamente ciò che poco rende (per esempio i letti di cure intense) mentre le autorità sanitarie hanno venduto al migliore offerente gli stock di mascherine e disinfettanti. In Svizzera, grazie alle minacce di referendum, abbiamo resistito un pochino meglio. Tanto è però andato storto anche da noi e pensiamo anche solo all’Istituto svizzero dei vaccini, famoso in tutto il mondo per i suoi prodotti, dapprima privatizzato e poi svenduto ad un monopolio farmaceutico, che l’ha praticamente azzerato.

 

L’Organizzazione mondiale della sanità da diverso tempo ripete che in futuro, a seguito della crisi climatica e dei disastri ambientali, simili pandemie saranno sempre più frequenti. Da qui gli oramai innumerevoli appelli di scienziati, filosofi e sociologi che chiedono accoratamente che non si torni alla situazione di prima, ma che, imparata la lezione, si cambi fondamentalmente strada.

 

Questa non è l’opinione dell’avvocato Tettamanti, che in uno dei suoi regolari contributi (CdT del 15 maggio) ritiene che non ci sia bisogno di alcun piano per risollevarci, ma che basti scatenare gli animal spirits dell’egoismo degli imprenditori per far tornare il bel tempo. Con questo egli riecheggia l’editoriale del «Financial Times» (9 maggio) nel quale si stabilisce che in questa, come nelle crisi precedenti, l’unico compito dello Stato sia salvare il capitalismo. Naturalmente a suon di centinaia di miliardi: senza questi ripetuti salvataggi, il capitalismo sarebbe tramontato da un bel po’. L’avvocato Tettamanti afferma poi che così si era, secondo lui, fatto nella ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, citando in modo errato Keynes e travisando la realtà.

 

Se dopo la crisi del 1929 il New Deal rooseveltiano si era basato su una serie di pianificazioni e di investimenti ciclopici gestiti dalla mano pubblica, non molto diversa era difatti stata la ricetta (veramente keynesiana) impiegata in quelli che vengono definiti i Trenta gloriosi (1950-80). Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’opinione pubblica, che aveva ben presente come il nazifascismo era potuto arrivare al potere solo grazie all’aiuto del grande capitale, chiedeva a gran voce una società diversa, di tipo socialista. Per evitarla i padroni del vapore forzarono lo sviluppo dello stato sociale. Il compromesso con il mondo del lavoro fu chiaro: voi non mettete in discussione l’assetto sociale, noi vi concediamo molte carote. Furono questo capitalismo soft e gli investimenti statali a permettere l’eccezionale sviluppo di quegli anni. Passato lo spavento iniziale e consolidatisi i rapporti sociali, Reagan e Thatcher decisero di non avere più bisogno di questo compromesso e inaugurarono la stagione del neoliberismo, ritornando quindi al capitalismo hard.

 

Non credo che torneremo alla situazione di prima della pandemia. Come capitò però con la crisi del 1929, potrebbe darsi che il mondo invece di migliorare diventi ancora peggiore. C’è da sperare che questa volta, nonostante il prevedibile disastro sociale che ci aspetta, i popoli non si facciano abbindolare dai pifferai. Molti pensatori di sinistra stanno perciò sviluppando degli spunti attorno a cui progettare un mondo migliore. Bisogna buttare definitivamente a mare l’ordoliberismo tedesco (a cui in fondo si riferisce l’avvocato Tettamanti più che a Keynes), secondo cui tutta la società (compresa la politica) deve essere gestita dalle cosiddette regole del mercato, che alla fine impregnano, come aveva già previsto Marx, anche la nostra vita privata. Una delle lezioni principali che dobbiamo imparare dall’attuale crisi è che chi lavora è molto di più di una semplice risorsa. Il lavoro dovrà quindi essere de-mercificato, ciò che significa proteggere alcuni settori (quelli che si sono ora riconosciuti come essenziali) dalla legge del libero mercato e quindi retribuirli molto meglio. Questo significherebbe anche assicurare che tutti abbiano accesso al lavoro, alla dignità che questo conferisce o a meccanismi equivalenti (per esempio reddito di cittadinanza).

 

Contrariamente all’ordoliberismo, che quasi annulla lo spazio riservato alle decisioni democratiche, l’ambito di queste ultime va di molto ampliato, includendo i luoghi di lavoro. La democrazia non potrà più fermarsi ai cancelli delle fabbriche o all’entrata degli uffici: e allora forse molti sbagli saranno evitati. Questa volta non dobbiamo ripetere l’errore del 2008, quando si salvarono banche ed imprese con centinaia di miliardi e tutto ripartì come prima, facendo esplodere le disuguaglianze. Questa volta bisognerà imporre alcune condizioni fondamentali, tra cui il risanamento ambientale, se non vogliamo cadere dalla padella nella brace. Certo che il Consiglio federale ha dato un pessimo esempio finanziando con un miliardo e mezzo Swiss, senza imporre nessuna regola: perlomeno in Olanda il Governo ha fissato a KML un tetto massimo di voli inferiori del 15% a quelli di prima.

 

Forse siamo ad una svolta epocale, con un’alternativa secca, che potrebbe corrispondere alla profezia che Rosa Luxemburg formulò cent’anni fa, poco prima di essere uccisa: «Socialismo o barbarie». Ma questa alternativa sicuramente non piacerà all’avvocato Tettamanti.