Altro che influencer! Il COVID-19 ha mostrato quali sono i lavori utili

PIAZZA APERTA - Zeno Casella, Gioventù Comunista

Come è ben noto, il coronavirus ha prodotto numerosi e gravi lutti, nonché importanti ripercussioni economiche e sociali. 

 

Lungi da me il voler relativizzare i drammi della pandemia, eppure quest’ultima ha anche avuto il merito di mettere in luce quali siano i veri pilastri che reggono la nostra società, ovvero i lavoratori, in particolar modo quelli molto sollecitati dei settori essenziali (sanità, commercio, trasporto pubblico, ecc.). Essi vengono unanimemente definiti degli “eroi” e si è rapidamente diffusa l’abitudine di applaudirli la sera dai balconi: se ricordiamo come sono stati duramente colpiti dalle politiche neoliberali degli ultimi decenni, non si può però mancare di auspicare che alle parole seguano anche i fatti e che venga al più presto riconosciuto (concretamente, non solo simbolicamente!) il valore del proprio lavoro.

 

Negli ultimi anni, il settore sanitario ha registrato ampi tagli al personale, una diminuzione dello sforzo formativo (largamente insufficiente rispetto alle necessità del sistema ospedaliero), una riduzione dei diritti del personale medico, ecc. Le conseguenze delle politiche di austerità che hanno colpito la sanità pubblica sono state tanto gravi da spingere l’associazione svizzera degli infermieri a lanciare un’iniziativa popolare “per cure infermieristiche forti” per rivalorizzare le professioni sanitarie, iniziativa che, poco prima dello scoppio della pandemia, è stata però bocciata dal Consiglio nazionale. Dal canto suo, il Partito Comunista (che sostiene l’iniziativa degli infermieri) ha ricordato fin dall’inizio della pandemia la necessità di potenziare la formazione nelle cure infermieristiche e della soppressione del numerus clausus in medicina, oltre ad una rivalorizzazione delle condizioni di lavoro e di tirocinio.

 

Anche nel settore del commercio al dettaglio le cose non sono andate diversamente: il dumping salariale e il precariato sono estremamente diffusi, a fronte di dure e logoranti condizioni di lavoro. L’ultimo esempio di questa tendenza è quello delle stazioni di servizio: il Ticino è stato “esentato” dall’applicazione del contratto collettivo siglato a livello nazionale, consentendo così ai grandi gruppi del settore di continuare a versare salari da fame e sfruttare il frontalierato. Lo stesso discorso vale purtroppo anche per i servizi pubblici: gli uffici postali continuano a chiudere (tendenza confermata dal recente progetto di riorganizzazione presentato dalla Posta), gli autisti dei trasporti pubblici lavorano sotto crescente stress con gravi ripercussioni sulla salute, il servizio pubblico radiotelevisivo è colpito da tagli al personale e da crescenti fenomeni di precarizzazione che colpiscono duramente il personale da esso impiegato.

 

Occorre dunque oggi più che mai restituire al lavoro tutta la sua dignità, garantendo a tutti i lavoratori delle condizioni di lavoro sostenibili e decorose, stabilendo un salario minimo che consenta a tutti di vivere del proprio lavoro (riducendo in tal modo il crescente ricorso agli ammortizzatori sociali che pesano su tutta la collettività e avviliscono la persona) e assicurando delle migliori condizioni di entrata (sul piano formativo) e di uscita (sul piano pensionistico) dal mercato del lavoro. Ma occorre anche restituire al lavoro il suo valore sociale: dobbiamo comprendere e riconoscere quali sono le persone che reggono in piedi la nostra società, producendo ricchezza e permettendo ai servizi essenziali di continuare a funzionare anche in gravi situazioni di crisi come quella attuale. In questo senso, il COVID-19 ha il merito di aver messo a nudo l’inconsistenza della narrazione del “self-made man”, un tempo simboleggiato dal rampante finanziere di Wall Street e oggi dall’influencer di tendenza sui social (figura che secondo alcuni rappresenterebbe un modello professionale da promuovere, al punto da dedicargli appositi eventi nella neonata “Città dei mestieri”). La pandemia ha messo invece in luce lo sforzo “invisibile” di tutti quei lavoratori che ci curano, che riempiono gli scaffali, che ci informano, che svuotano i cestini, che ci trasportano: ora sta alla politica riconoscere il valore di questi lavoratori e adoperarsi per garantir loro migliori condizioni di vita e di lavoro!