di Sergio Rossi
John Maynard Keynes, uno dei maggiori economisti del secolo scorso, ha spiegato che lo Stato deve intervenire in maniera anticiclica: quando l’economia va male, deve sostenere le attività economiche, indebitandosi se necessario, come è accaduto dopo la crisi del 1929.
Nei decenni successivi, i politici si sono però dimenticati di ripagare il debito pubblico: per farsi rieleggere, non hanno aumentato le imposte né diminuito le spese, quindi alla fine degli anni Settanta la relazione inversa tra disoccupazione e inflazione è venuta meno e il modello keynesiano è stato soppiantato dalla teoria di Milton Friedman. I “padri” del neoliberismo hanno conquistato prima le accademie, poi le banche centrali e i consigli di amministrazione. La globalizzazione risale a ben prima, ma è stata un fattore secondario nella deriva del servizio pubblico. Più incisiva è stata la deregolamentazione sul piano economico e finanziario. Le banche sono diventate universali e hanno fatto concorrenza alle assicurazioni e ai fondi pensione. Poi ci sono i conflitti di interesse, con le “porte girevoli” per i massimi dirigenti delle banche. Un esempio su tutti: Mario Draghi, che prima di diventare direttore della Banca Centrale Europea era in Goldman Sachs.
Il pensiero dominante del neoliberismo ha pervaso le facoltà di economia. Lo slogan che riassume bene quanto sta accadendo è “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”. Sono stati infatti privatizzati gli utili che lo Stato faceva in attività profittevoli, lasciando ad esso solo le perdite. E quindi si tagliano i servizi pubblici perché non rendono.
Un approccio manageriale
In Svizzera è venuta meno la coesione sociale (tra le fasce di reddito) e nazionale (tra centri e periferie). Con la disgregazione del tessuto sociale, la società si imbarbarisce. Sul piano nazionale, quello che era il federalismo collaborativo (i cantoni ricchi aiutavano quelli poveri) caratteristico della “Willensnation”, è diventato competitivo: basta vedere ciò che accade sul piano fiscale.
Questo riduce le casse pubbliche al minimo. Inoltre, lo Stato ha esternalizzato parte delle proprie attività profittevoli, che le imprese hanno volentieri assunto. E ha quindi ridotto le prestazioni (sanità, trasporti, infrastrutture, formazione).
Si è assimilato lo Stato a un’impresa, che deve essere efficace (per offrire i servizi pubblici) ma anche efficiente, perché lo deve fare al minor costo, riducendo la qualità. Questo è il risultato di un approccio manageriale alle scelte pubbliche. Bisogna sempre distinguere tra manager e imprenditore. Quest’ultimo, pensiamo a Steve Jobs, ha idee innovative orientate al lungo termine, mentre un manager ha un orizzonte di breve periodo: non ha interesse a investire nell’impresa per farla durare a lungo. Negli ultimi decenni, abbiamo avuto sempre meno imprenditori e sempre più manager. E questo ha impoverito il tessuto economico svizzero.
Uno sciopero per Keynes
Greta Thunberg ci ha fatto riflettere sui cambiamenti climatici e ha portato i giovani a scioperare. Allo stesso modo, dovremmo organizzare (giovani e meno giovani) uno sciopero per il keynesismo, per tornare alle idee di Keynes: lo Stato come attore importante dell’economia di mercato, lo Stato come imprenditore. Recentemente, la collega Mariana Mazzucato, professoressa a Londra, ha pubblicato un libro intitolato Lo Stato innovatore (Laterza) che parla proprio di questo. Gli Stati Uniti hanno investito soldi pubblici per la conquista dello spazio. Anche internet è il risultato di una spesa pubblica, per la difesa nazionale. Questi investimenti dello Stato hanno permesso alle imprese di avere nuovi prodotti, nuovi sbocchi di mercato.
Le mie prospettive sono pessimistiche: crescono le tensioni sociali e la disaffezione dalla politica (con la nascita di movimenti esterni ai partiti, come i “gilets jaunes” in Francia o le “sardine” in Italia) e dall’altro lato si sviluppa un’economia solidale, di chi si aiuta a vicenda. La crisi economica scaturita dal nuovo coronavirus dimostra che la spesa pubblica è determinante per l’andamento economico sul piano globale.
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