I disastri delle privatizzazioni

di Franco Cavalli

 

Abbiamo parlato spesso dei problemi ingravescenti con cui sono confrontate le FFS e la Posta da quando non sono più delle regie federali, ma parzialmente privatizzate, perlomeno “a metà” se vogliamo essere benevoli.

Non voglio qui riferirmi neanche ad esempi estremi, come quello delle ferrovie inglesi, una volta un gioiello da tutti invidiato e che oggi, dopo la privatizzazione, sono diventate in buona parte un rottame. Non penso neanche ai recenti tragici incendi in Australia, dove l’assenza di un’organizzazione di pompieri professionisti, in gran parte organizzati come volontari da strutture private, è stata sicuramente una delle ragioni che ha provocato l’ampiezza di questo disastro umano ed ambientale.

 

Cito qui invece due esempi, passati sotto silenzio dai nostri media, e che sono molto simili a quanto è capitato e sta capitando da noi, dove da una ventina di anni c’è stato il trionfo del cosiddetto “New Public Management”, che prevede di gestire strutture non del tutto privatizzate in base ai cosiddetti contratti di prestazione. La scusa ideologica era stata quella di aumentare l’efficienza, diminuendo la burocrazia. In realtà, come l’esperienza pratica ha largamente dimostrato, si trattava di vendere per un piatto di lenticchie i gioielli di famiglia agli interessi privati, spesso speculativi.

 

 

 

California di fuoco

 

In California gli incendi sono sempre stati di casa, soprattutto a fine estate ed inizio autunno quando si alzano i venti del deserto che facilmente trasformano piccoli focolai in una tempesta di fuoco. Ormai siamo abituati ogni anno a riprese televisive che inquadrano abitazioni minacciate con il ricorrere della “stagione dei fuochi”. Nel 2018, quando le fiamme arrivarono persino tra le ville milionarie di Malibu, ci fu l’enorme disastro nella città di Paradise, divorata da un muro di fiamme, costato la vita a ben 85 persone. Ciò che quasi mai si dice però è che questo fenomeno è stato amplificato da una parte dalla concentrazione di ville e campi di golf in posti dove non avrebbero dovuto esserci, ma soprattutto dalla privatizzazione del settore energetico. Nel 2017 per esempio più di 30 focolai furono attizzati da scintille causate da cortocircuiti avvenuti quando i fili della luce sono stati messi in contatto dai venti. Gran parte della rete elettrica dello stato è infatti in mani private, e come ogni corporation le aziende hanno un unico mandato: massimizzare i profitti. Invece di ammodernare la rete, queste ditte preferiscono pagare opulenti bonus ai manager e i dividendi agli azionisti.

Per evitare il ripetersi di corto circuiti come nel 2017, l’anno scorso le ditte hanno tentato di anticipare il problema tagliando l’elettricità: i black-out preventivi hanno causato enormi disagi, senza peraltro impedire l’innesco di nuovi incendi e mettendo ancora più in evidenza lo stato di degrado e obsolescenza di un’infrastruttura quasi interamente allo scoperto, fatta di tralicci e pali in legno per sostenere un groviglio di linee elettriche, un’immagine che ricorda paesaggi del terzo mondo.

 

Raramente quindi il ciclo nocivo del liberismo risulta evidente come nel caso degli annunciati disastri californiani – una fatale congiuntura di insufficienze infrastrutturali, mutamento climatico e privatizzazione di servizi pubblici, che stanno mettendo in ginocchio lo stato.

 

 

 

Un disastro alla svedese

 

Qui da noi non ci si rende conto dei disastri provocati anche nei paesi scandinavi dal “New Public Management”, perché molti considerano sempre ancora questi paesi come “socialisti”. Ciò non è più da lungo tempo il caso, non solo perché ogni qual volta che i partiti borghesi sono tornati al potere han cercato di privatizzare tutto il possibile, ma anche perché all’interno della socialdemocrazia scandinava la resistenza contro queste privatizzazioni è stata, e siamo molto gentili, molto limitata.

 

Questo è il caso soprattutto dei servizi sanitari, che la coalizione di centro destra ha cominciato a privatizzare nel 2006 ed ora, soprattutto nelle grandi città, buona parte delle strutture, soprattutto quelle ambulatoriali, sono ormai completamente in mano a dei privati. Come ci si poteva aspettare, ciò ha provocato un’impennata dei costi della salute, che nel passato la Svezia era riuscita a controllare in modo egregio.

 

L’esempio forse più illuminante è quello del principale ospedale svedese, il Karolinska , conosciuto in tutto il mondo per la qualità delle sue cure ma anche per essere il “cervello” che decide sull’assegnazione dei premi Nobel in medicina. Nel 2008 si decise che la vecchia struttura era oramai un po’ obsoleta e che si doveva costruire un nuovo Karo linska . Il governo di centro destra impone una cosiddetta cooperazione pubblico-privata, che lascia il tutto fondamentalmente in mano a dei consulenti americani, ad una ditta di programmazione britannica ed a una serie di sottostrutture privatizzate. Il preventivo era di 14,5 miliardi di corone (circa 1,8 miliardi di franchi), il costo finale sarà più del doppio, i vari consulenti si sono beccati un miliardo di corone. La struttura, inaugurata un po’ più di un anno fa, sta facendo disperare medici ed infermieri perché assolutamente inadatta a delle cure di qualità moderne. Diversi pazienti sono già morti perché, nella confusione generale, nessuno era riuscito ad accorgersi di improvvise complicazioni. E, dulcis in fundo, l’ospedale nel 2019 ha fatto un deficit miliardario, per cui ora si vogliono licenziare 150 medici e 400 infermieri, ciò che favorirà ancora un ulteriore trasferimento delle cure verso il settore privato.

 

La capogruppo socialdemocratica Hadzialic, nel Consiglio Regionale di Stoccolma, ha giustamente concluso: “nella regione più ricca della Svezia abbiamo costruito uno degli ospedali più cari al mondo ed ora non abbiamo i soldi per pagare i medici e le infermiere”.

 

Forse che anche la socialdemocrazia svedese cominci a farsi un esame di coscienza? Sarebbe sicuramente l’ora.

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