FUOCO!

PIAZZA APERTA - EoloVive

Neppure Lorenzo Quadri riesce a respirare. Ma non perché un agente di polizia afroamericano gli cinge il collo impedendogli di inalare aria fino ad ammazzarlo brutalmente.

 

No, semplicemente perché, a volte, in alcuni esseri, la strozzatura avviene in maniera del tutto naturale, dovuta a disfunzioni e incapacità celebrali: il sangue fatica ad arrivare al cervello, si comincia ad ansimare, la temperatura corporea aumenta, il panico si insinua, il fuoco ti brucia le interiora facendoti perdere ogni contatto con la realtà. In alcuni esseri particolarmente provati succede con frequenza. A Lorenzo almeno ogni domenica. Nell’ultimo suo delirio cerca di spiegare al mondo che “il razzismo non esiste, che è solo nelle teste dei sinistrati”. Utilizzando fonti mai citate e dati pescati chissà dove prova a sostenere che i “bianchi” ammazzati dalla polizia sono molto di più dei neri”. Tralasciando che la popolazione afroamericana rappresenta all’incirca il 12% della popolazione USA totale e che il paragone non è corretto, sarebbe un po’ come dire che ci sono anche tante donne che picchiano gli uomini, che i femminicidi sono un’invenzione delle donne e che gli eterosessuali soffrono della concezione non binaria del mondo. Rancoroso, incattivito e meschino come non mai, la quarantena sembra abbia aggravato le sue condizioni già precarie. Un viaggetto, per raggiungere il collega Trump nel bunker sottoterra accerchiato dalle fiamme, non potrebbe che fargli bene.

 

In realtà, al di là dei deliri del Quadri, il lato oscuro della dominazione razzista in USA non è di oggi. Comincia con la schiavitù e 400 anni dopo si ripropone intatto e devastante. E se le statistiche ufficiali dell’apparato federale lasciano fuori quasi la metà delle morti causate dagli abusi di polizia, altre statistiche (es. https://www.sentencingproject.org/) non lasciano comunque alcun dubbio: negli Stati Uniti, culla della “civiltà”, delle “libertà” e della “democrazia”, la probabilità di essere uccisi durante un arresto rientra fra le prime sei cause di morte nel paese e le donne e gli uomini afroamericanx sono rispettivamente 1,4 e 2,9 volte più a rischio dei bianchx. Allo stesso modo sono più alte le probabilità di essere uccisi per i latini e i nativi americani. E la probabilità di subire una detenzione rispetto alla popolazione bianca è di 5 volte più alta. Mentre il 99% degli agenti di polizia non subisce alcuna punizione per i crimini commessi.

 

Più chiaro di così, Lorenzo.

 

Purtroppo però, alle nostre latitudini, non esiste solo il clan di coloro che sostengono che il razzismo non esiste ma addirittura c’è chi ribalta la questione pretendendo che sarebbero proprio le stesse forze dell’ordine le vittime della violenza. Tale tesi è sostenuta tra gli altri da Stefano Piazza - presidente degli amici delle forze di polizia e compagno di merende del Quadri – dubbio personaggio, spesso ospite delle pagine del CdT, che già paragonava Arafat ai nazisti, che vede barbuti fondamentalisti islamici ovunque, che ritiene che l’islam ci invaderà e che - dopo la condanna dei carabinieri per l’uccisione di Stefano Cucchi - ammoniva che al caso “non era stata ancora scritta la parola fine”. Non va dimenticato che, proprio in Ticino, nonostante ce ne “dimentichiamo” spesso preferendo guardare altrove (ai Salvini, ai Trump, ai Bolsonaro, agli Orban), è presente una cospicua colonia di personaggi che fanno decisamente fatica a respirare. Tra islamofobia diffusa, caccia ai frontalieri e agli “stranieri”, legami con destre eversive e fasciste, abusi di polizia, diciamo che non ci facciamo mancare niente.

 

Proprio in questi giorni – il 7 giugno 1970 – cade l’anniversario della votazione sul referendum “Schwarzenbach” che voleva un contingentamento dei lavoratori stranieri in Svizzera. Le donne ancora non potevano votare (!) e i lavoratori stranieri – prevalentemente italiani del sud – erano sfruttati e trattati come bestie. In Svizzera era nato uno dei primi partiti anti-stranieri d’Europa che, oltre a sostenere il divieto di ricongiungimento familiare in vigore all’epoca, riteneva che, dopo aver costruito un paese e aver contribuito a un certo benessere, di non avere più bisogno di loro. Gli svizzeri non amano gli stranieri a casa loro, e noi siamo stranieri e poveri. Non hanno mai fatto una guerra e non conoscono cos’è la fame, perché se la sono dimenticata da secoli, racconta un lavoratore italiano all’epoca, nel libro “Cacciateli!” di Concetto Vecchio, preziosa testimonianza di quell’epoca.

 

In 50 anni è cambiato qualcosa? Non sembrerebbe. Tanto che il sentimento anti-straniero risulta tuttora molto diffuso. Sia nella popolazione che nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine. Basterebbe vedere il recente inasprimento, votato con il consenso di 38 gran consiglieri (chi sono?), della già difficile procedura per la naturalizzazione svizzera o la situazione in stazione a Chiasso (fermi in base al colore della pelle), l’indegno bunker di Camorino ancora molto “frequentato”, le deportazioni forzate o il continuo racial profiling - fatto di costanti controlli e abusi - subito da chi non ha il colore della pelle bianca. Ce lo ricorda anche il caso del venditore di rose pachistano e la recente decisione del Tribunale federale di Losanna che ha decretato non valido il non luogo a procedere concesso a due agenti della polizia comunale di Lugano, accusati – il primo agosto 2015 -di averlo picchiato, derubato e di avergli fracassato un timpano. Dopo le lacune investigative dei due procuratori Noseda e Perugini, sarà ora il turno del procuratore pubblico Andrea Pagani a tentare di far luce sugli avvenimenti di quel giorno e a indagare sulle falsità e sui depistaggi – dagli indubbi connotati razzisti - che vedono pure coinvolti il capo della polizia Torrente e il sindaco di Lugano Borradori (https://www.areaonline.ch/Si-riapre-il-caso-del-venditore-di-rose-malmenato-dalla-polizia-cf645400).

 

Appare evidente allora che, proprio quello che personaggi come Lorenzo Quadri e i suoi accoliti negano, risulti invece le fondamenta di un sistema che si regge sulla sistematica discriminazione violenta come metodo di dominazione e controllo dei corpi. Nel documentario “A nos corps défendants” (https://www.youtube.com/watch?v=zrHcc_rPacE), recentemente prodotto in Francia, che racconta le violenze di polizia e il razzismo di stato che subiscono le classi razzializzate delle ex colonie francesi, Ramata Dieng, sorella di Lamine Dieng anch’egli - come George Floyd a Minneapolis o Adama Traoré a Beaumont-sur-Oise nel 2016 (per cui in questi giorni si è tenuto un oceanico presidio a Parigi per contestare i rapporti d’autopsia falsificati - https://paris-luttes.info/retour-sur-un-rassemblement-sous-14075?lang=fr) – soffocato, torturato e ucciso dalla brutalità poliziesca, illustra proprio questo meccanismo razzista di neutralizzazione dei corpi: (...) per loro l’uomo nero rappresenta una certa virilità che deve essere spezzata, che deve essere castrata. Lamine non è l’unico ad avere subito questo trattamento e quando guardo i profili di coloro che sono stati uccisi con queste tecniche e in forma cosi violenta è quasi sempre la stessa cosa e la descrizione che gli assassini fanno ogni volta delle loro vittime – e per assassini intendo le forze di polizia -, le disumanizzano, facendone una sorta di king kong, con una forza sovrumana e la sola colpa di questi uomini è di avere un corpo atletico e imponente. Big Floyd, come lo chiamava affettuosamente chi lo conosceva, era uno di questi: un “gigante gentile”, alto quasi due metri, la cui vita è stata distrutta da un intervento assassino di un poliziotto bianco incattivito: perfetta sintesi della prevaricazione coloniale del nostro mondo.

 

Vi è infine un’altra pericolosa tendenza. Che, coi tempi che corrono, può essere letta come una modalità altrettanto oltraggiosa del razzismo esplicito e dell’infame retorica del biondino col codino. Mi riferisco sia al silenzio complice sia a quell’atteggiamento che fa capo a una sorta di paternalismo che tende a relativizzare e a giustificare. Una variante soft e apparentemente innocente in cui il sistema razzista viene comunque riprodotto, da una parte infantilizzando le persone e dall’altra definendo le scelte opportune che gli/le altrx devono fare. Un atteggiamento che passa dal “io bianco scelgo quel che è meglio per te nero”, al “tutte le vite contano, non solo quelle dei neri” fino ad arrivare a sostenere “che in fondo siamo tutti uguali ed esiste pure un razzismo anti-bianco”. Una superiorità paternalista altrettanto vomitevole, stimolata da chi evidentemente non soffre l'oppressione e il razzismo quotidiano e che, così facendo, ne diventa pure complice.

 

Kareem-Abdul Jabbar, cestista afroamericano e miglior realizzatore nella storia della NBA, scrive che il razzismo è polvere nell’aria, invisibile anche quando ti sta soffocando. Un virus più mortale del Covid-19. Assumerlo senza giustificazioni di sorta e come fatto contundente, prendere atto che le malattie, le carcerazioni, i controlli di polizia, i mancati accessi alla sanità, al mondo del lavoro, alla cultura sono specificità di tutte le popolazioni razzializzate e rese dal sistema subalterne, sarebbe già un piccolissimo passo avanti. Visibilizzare i nomi e segnalare pubblicamente chi perpetua sistematicamente discorsi e atteggiamenti razzisti e coniugarlo con una solidarietà attiva, in prima persona, mettendo risorse, capacità e corpi “a disposizione” della lotta all’esclusione, al razzismo, alle violenze poliziesche potrebbe esserne un secondo.

 

La prossima volta il fuoco, diceva lo scrittore James Baldwin.

 

Fuoco sia, allora.