Trump: dal populismo al fascismo?

di Marina Catucci, corrispondente da New York

 

La presidenza Trump sta prendendo contorni sempre più autoritari: se mai ci fossero stati dubbi riguardo la vera natura di questa amministrazione, la crisi generata dalla mala gestione della pandemia e le proteste per l’omicidio di George Floyd, a Minneapolis, hanno evidenziato tutti i dettagli.

Negli Stati Uniti le proteste non si sono mai fermate. Il movimento Black Lives Matter ha il supporto della maggioranza della popolazione e viene riconosciuto come legittimo e doveroso. I simboli della discriminazione degli afroamericani, che siano statue, bandiere, dipinti, stanno cadendo uno ad uno, rimossi da piazze, strade, aule governative. Il dibattito sui diritti civili si è riacceso e non occupa solo gli afroamericani: vi partecipa tutta la società civile che non si riconosce nel razzismo più o meno velato che continua a serpeggiare negli Stati Uniti.

 

Secondo un sondaggio di Gallup su un campione di 60.000 intervistati, il 94% concorda trasversalmente sul fatto che ci debba essere qualche riforma della polizia negli Stati Uniti, ma quando si tratta di definire il come e la misura, le risposte divergono, con il 58% che vorrebbe cambiamenti importanti e il 36% che preferirebbe cambiare solo un po’ la prassi attuale.

 

 

 

Campagna elettorale in salita

 

Anche se la maggior parte degli Americani non supporta l’abolizione dei dipartimenti di polizia, sostiene comunque l’introduzione di misure per incriminare gli agenti di polizia responsabili degli abusi, e la promozione di misure alternative basate sulla comunità, come programmi familiari e organizzazioni non profit che intervengano nei casi in cui sono coinvolti giovani ad alto rischio di violenza. Circa il 70% degli afroamericani, poi, sostiene il movimento Defund The Police, che chiede la riduzione del budget dei dipartimenti di polizia.

 

Tutto ciò è visto da Trump, contemporaneamente, come fumo negli occhi e come un opportunità per uscire dalla scomodissima situazione in cui si trova. I dati positivi dell’economia americana che dovevano fare della campagna elettorale di The Donald una passeggiata verso la rielezione, sono stati travolti e distrutti dalla pandemia di Covid-19.

 

A tre mesi dal voto, 41 Stati, molti dei quali repubblicani, sono investiti da una crisi sanitaria dalla quale sembrano non uscire e dove sono entrati per aver allentato le restrizioni troppo presto cedendo alle pressioni di Trump. Ora l’emergenza sanitaria è dilagante ed i numeri relativi alla disoccupazione sono in rialzo. Se nel 2016 lo slogan sul riportare l’America ai fasti del passato (“Make America Great Again”) era stato uno dei colpi vincenti di Trump, adesso il tycoon sembra non sapere a cosa appellarsi. Per cui si è affrettato a cogliere l’opportunità di demonizzare l’ondata di proteste.

 

 

L’invio delle guardie federali

 

La maggior parte delle manifestazioni di Black Lives Matter è pacifica, ma Trump sta cercando in tutti i modi di coniugare il movimento alla crescita della criminalità che si sta osservando in diverse città americane e che è dovuto a una serie di fattori che vanno dalla crisi economica al rallentamento degli interventi della polizia che si sente attaccata dall’opinione pubblica.

 

Il 26 giugno Trump ha firmato un ordine esecutivo per formare squadre speciali con il compito di proteggere monumenti e altre proprietà governative, ovvero quegli stessi simboli del razzismo che il movimento chiede di rimuovere. Dopo pochi giorni queste squadre sono state dispiegate in città dove le manifestazioni erano più corpose, a Washington DC, Seattle, e Portland, ma, stando a quanto riportato dal New York Times, non c’era stato il tempo necessario per formarle.

 

Trump sostiene che le manifestazioni di Portland sono fuori controllo e guidate da anarchici, e che queste truppe federali sono state mandate per calmare le acque. Ted Wheeler, sindaco democratico della città, si è subito detto preoccupato e contrario alla presenza di queste guardie federali senza numeri identificativi, e gli eventi gli hanno dato ragione, precipitando quando gli agenti speciali hanno colpito un manifestante sparandogli un proiettile di gomma in faccia.

 

 

La reazione dei cittadini

 

I cittadini di Portland hanno denunciato la presenza di agenti non identificabili, che prelevano manifestanti e passanti, per poi trasportarli e detenerli per ore in veicoli militari, anche questi non identificabili. Questa prassi è stata ripetuta talmente tante volte che il Procuratore generale dell’Oregon, Ellen Rosenblum, ha intentato una causa contro il governo federale, accusandolo di detenere illegalmente i cittadini senza formulare accuse specifiche.

 

La governatrice dell’Oregon Kate Brown così come due senatori dello stato, Ron Wyden e Jeff Merkley, hanno accusato Trump di aver provocato un’escalation inutile e pericolosa in quanto, da quando ci sono gli agenti federali, le proteste sono tornate ad aumentare, e sono ricominciati gli scontri, al punto che anche la polizia di Portland ha voluto chiarire di non avere niente a che fare con le operazioni delle squadre delle guardie federali. Per tutta risposta Chad Wolf, segretario ad interim del Dipartimento per la sicurezza interna, ha dichiarato a Fox News: “Non ho bisogno di inviti da parte dello Stato [dell’Oregon], continueremo che piaccia o no”.

 

 

 

Oltre Portland

 

In questi giorni Trump ha annunciato il dispiegamento di agenti federali anche a Chicago, Kansas City e Albuquerque, e che il Dipartimento di Giustizia stanzierà $61 milioni per reprimere i crimini violenti.

 

Nella narrativa di Trump le città “sono troppo orgogliose per chiedere l’aiuto federale per combattere il crimine violento”, ma che lui ha saputo ascoltare la silenziosa richiesta d’aiuto. A gran voce, invece, le autorità locali continuano a rifiutare la presenza delle squadre di quella che Trump ha battezzato “Operation Legend”. La sindaco democratica di Chicago, Lori Lightfoot, ha per esempio invitato i cittadini a chiamare la polizia in caso vedessero le squadra federali agire illegalmente.

 

Il livello dell’illegalità secondo gli osservatori è stato già ampiamente superato a Portland. Michael Dorf, professore costituzionalista della Cornell University, ha dichiarato all’Associated Press che “l’idea che ci sia una minaccia a un tribunale federale e che le autorità federali arrivino per fare quello che vogliono agendo senza coordinarsi e collaborare con le autorità statali e locali, è fuori dall’ordinario, a meno di un contesto di guerra civile”.

 

 

 

La strategia di Trump

 

Sembra chiaro che Trump stia cooptando le forze dell’ordine federali per un suo vantaggio politico, principalmente per spaventare gli elettori suburbani spingendoli a votare per lui. Il tycoon usa un linguaggio ad hoc con termini come “caos” per descrivere la situazione nelle principali città Usa, e “dominare” per descrivere ciò che vuole che facciano i funzionari federali.

 

A fargli da cassa di risonanza ci sono i media reazionari che abusano di termini come “Disastro”, “Zona di guerra”, “Carneficina nelle città americane”. Le descrizioni degli eventi di Portland sono state riscritte in ottica trumpiana e pompate sui social media da influencer di destra.

 

Il ritratto distopico ha trasformato le città liberal nell’ultima interpretazione del concetto di “legge e ordine” di Trump, nuovo tormentone della sua campagna di rielezione. Lo stesso presidente che ha addossato tutto il controllo e l’onere della risposta alla pandemia alle autorità statali e locali, promette ora di impegnarsi in prima persona per reprimere con i mezzi federali le manifestazioni di dissenso delle città controllate dai democratici.

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