Il Consiglio degli Stati sbeffeggia le infermiere

di RedQ

 

La telenovela sull’iniziativa popolare dell’Associazione Svizzera delle Infermiere (ASI) – che, ricordiamo, aveva raccolto in pochissimi mesi oltre 130’000 firme – sembra non finire mai. Il Consiglio Nazionale aveva approvato, prima che scoppiasse la pandemia, un controprogetto indiretto che rispondeva solo parzialmente le esigenze poste dall’iniziativa.

Nella sessione di giugno il tema è passato al Consiglio degli Stati e gli iniziativisti e tutto il mondo che ruota attorno agli infermieri speravano che l’esperienza della pandemia avesse convinto i senatori a migliorare e di molto questo controprogetto. Come tutti sappiamo, nelle settimane precedenti le lodi alle “nostre eroine” e gli intensi applausi si erano difatti sprecati. Enorme è stata quindi la delusione di fronte alla decisione del Consiglio degli Stati – decisione che l’ASI definisce come “un insulto” alla professione infermieristica.

 

Ancora una volta, la maggioranza UDC/PLR/PPD si è dimostrata insensibile alla volontà della stragrande maggioranza della popolazione e attenta solo alle ingiunzioni dei manager delle casse malati e dei circoli economici più reazionari – non per niente, le prossime elezioni saranno solo tra quasi quattro anni…

Il Consiglio degli Stati difatti ha ridotto di ben 100 milioni i fondi messi a disposizione per finanziare la formazione di un maggior numero di infermiere. Non paghi, i “senatori” hanno inoltre lasciato completa libertà d’azione ai cantoni se usare o meno questi fondi previsti per la formazione e ha condizionato al volere delle casse malati la possibilità per le infermiere (soprattutto nel settore ambulatoriale) di fatturare senza richiedere ogni volta il beneplacito di un medico. Non sorprende quindi che il Consiglio degli Stati non sia neanche entrato in materia sulle due richieste dell’ASI che non erano state accettate dal Consiglio Nazionale, vale a dire la generalizzazione dei contratti collettivi e la necessità che venga fissato un numero minimo di infermiere per reparto o per istituto, per evitare (tra le varie cose) che ricapitino tragedie come quelle successe durante la pandemia negli istituti medicalizzati per anziani. Innumerevoli studi nazionali e internazionali dimostrano difatti che la mortalità negli ospedali aumenta di parecchio se il numero delle infermiere presenti su un reparto scende al di sotto di una certa soglia.

 

È evidente che di fronte a queste decisioni le possibilità di un ritiro dell’iniziativa sono ormai quasi inesistenti: prepariamoci quindi alla votazione popolare. Ma al di là di queste decisioni infelici, a sconcertare sono stati soprattutto i toni dei portavoce della maggioranza borghese agli Stati, che possono essere riassunti nelle affermazioni “a questo mondo non ci sono solo le infermiere, cosa diranno gli altri gruppi professionali?” e “se cominciamo a cedere alle richieste di questo gruppo professionale, non sappiamo poi dove andremo a finire”. Tutto ciò, capitato mentre la pandemia si stava da noi lentamente spegnendo, conferma quanto scrivevamo nell’editoriale dell’ultimo Quaderno: quasi di sicuro non torneremo al mondo di prima, e se non ci mobiliteremo per bloccare le politiche portate avanti dai partiti borghesi la situazione diventerà ancora peggiore.

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