Salari dell’altro mondo

di Claudio Carrer

 

In materia di salari, il Ticino è la Cenerentola dell’intera Svizzera: è qui che si pagano le retribuzioni più basse ed è qui che si registra la maggior quota di posti scarsamente remunerati.

Secondo la rilevazione della struttura dei salari realizzata dall’Ufficio federale di statistica il salario mediano (il valore centrale che divide l’insieme degli stipendi in due parti uguali: il 50% è superiore a tale importo e l’altro 50 è inferiore) è più basso del 18% rispetto a quello svizzero. È un dato sicuramente indicativo, ma non del tutto preciso, perché nel confronto rientrano realtà economiche (come quelle di Zurigo, Basilea o Ginevra) profondamente differenti.

 

 

Partendo da questa considerazione, il sindacalista e già co-presidente di Unia Andreas Rieger ha realizzato una dettagliata analisi statistica dei salari mediani ticinesi nei vari settori economici (per un posto al 100% per 12 mesi) e li ha confrontati con quelli dei cantoni della Svizzera orientale (San Gallo, Turgovia e Grigioni), che costituiscono una regione economica molto simile a quella ticinese: di frontiera, turistica e con aree industriali. Dunque paragonabile. Il confronto è particolarmente significativo anche perché la Svizzera orientale occupa il penultimo posto della classifica svizzera in materia di salari. Ne risulta che in Ticino si pagano retribuzioni inferiori praticamente in tutti i settori economici e che il divario salariale medio è del 12 per cento (dati 2018). Un confronto con i dati del 2010 (indicativo, poiché i criteri di rilevamento sono in parte cambiati) dà inoltre conto di una situazione in peggioramento.

 

Guardando i dati illustrati nella tabella in pagina, balza subito all’occhio come le cose varino sensibilmente da un settore all’altro: se nell’edilizia lo scarto è nullo, nell’industria e nelle attività metallurgiche (si pensi alle raffinerie di metalli preziosi come la Valcambi di Balerna) raggiunge il 27%, il 37% nel tessile e nell’abbigliamento e addirittura il 45% nell’orologiero.

 

Ma come si spiegano queste differenze e quali contromisure si potrebbero adottare per avvicinare i livelli salariali ticinesi a quelli nazionali o perlomeno a quelli di una regione simile come la Svizzera orientale? Con Andreas Rieger cerchiamo innanzitutto di dare una lettura dei dati statistici da lui analizzati. Una prima constatazione interessante è che nell’edilizia, nonostante la presenza di oltre il 50 per cento di manodopera frontaliera, statisticamente non si registrano salari più bassi rispetto alla Svizzera orientale. «Un ruolo fondamentale lo giocano sicuramente il buon Contratto collettivo di lavoro e la frequenza dei controlli», spiega Rieger.

 

 

 

Industria pecora nera

 

La situazione, opposta, che si registra nell’industria è invece «figlia del modello di sviluppo economico promosso dal governo ticinese negli ultimi decenni», di cui l’ex consigliera di Stato Marina Masoni è stata la grande “direttrice d’orchestra”. Un modello «devastante, basato sull’insediamento per esempio di imprese tessili e d’abbigliamento o di aziende orologiere che godono di enormi vantaggi fiscali e che pagano salari da fame, di circa il 40% inferiori di quelli (già bassi) di San Gallo. Un modello cioè che poggia su attività a basso valore aggiunto e sul dumping fiscale. E persino sul falso se si pensa all’attività di produzione di accessori per orologi il cui unico scopo è il raggiungimento della quota necessaria di “Swiss made” per ottenere il relativo marchio».

 

Nel settore dei servizi, è nei rami professionali privi di contratto collettivo che si pagano salari nettamente inferiori a quelli della Svizzera orientale: un fenomeno che riguarda i liberi professionisti (tecnici, architetti), ricercatori, parrucchieri e altri prestatori di servizi personali. E anche le banche pagano meno in Ticino: qui si osserva per esempio un chiaro peggioramento rispetto al 2010, quando lo scarto salariale era pari a zero (contro il -7% del 2018). «Questa involuzione sembra dovuta alla crisi della piazza finanziaria scatenata dalla caduta del segreto bancario ma anche alla pressione esercitata dalla vicina Lombardia», afferma Andreas Rieger. Una diminuzione dei salari la si è comunque osservata in molti ambiti del terziario e i Contratti normali di lavoro (che prevedono minimi troppo bassi) «hanno forse al massimo frenato, ma non certo impedito questa tendenza». «L’introduzione del salario minimo legale, anche se è stato fissato ad un livello troppo basso – prosegue Rieger – potrebbe portare qualche progresso, ma a patto che non vengano sottoscritti nuovi pseudo-Ccl con l’Ocst o altre organizzazioni, come avvenuto nella vendita».

 

Seppur in altre proporzioni, anche il settore pubblico è un po’ sotto pressione: «Realtà come le società elettriche, le Ffs, la Posta e l’esercito non sono ancora toccate, ma la quota di pubblico sul mercato del lavoro diventa sempre più piccola a favore di imprese private di trasporto, di logistica e di sicurezza, il che produce pressione sui salari. Le amministrazioni pubbliche (Cantone e Comuni) contribuiscono per ora a sostenere i livelli salariali, ma anche qui si cominciano a registrare retribuzioni inferiori rispetto ai cantoni della Svizzera orientale», spiega Rieger.

 

Ma in conclusione, cosa indica e cosa suggerisce l’analisi complessiva di questi dati? «Che non sono i frontalieri a spingere i salari al ribasso. – risponde Andreas Rieger –. Laddove ci sono buoni contratti collettivi di lavoro (con minimi salariali dignitosi e la cui applicazione sottostà a rigidi controlli), le retribuzioni non scendono. A premere sui salari ticinesi sono soprattutto il modello imprenditoriale sbagliato dei padroni e una politica economica fondata su salari bassi, regali fiscali e privatizzazioni. Ovviamente la pressione sui salari deriva anche dalle condizioni quadro generali ma queste sono le medesime della Svizzera orientale».

 

«Di qui – conclude Rieger – la necessità di estendere e migliorare i Ccl, di introdurre un salario minimo legale dignitoso, di rafforzare (anziché smantellare) il servizio pubblico e di promuovere una politica industriale e per la ricerca che favoriscano la creazione di posti di lavoro di alto profilo».

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