Venezuela verso le elezioni, Maduro si rafforza

di Roberto Livi, corrispondente dall’Avana

 

Le elezioni politiche per rinnovare l’Assemblea nazionale (AN , il Parlamento unicamerale) fissate per il 6 dicembre potrebbero rappresentare un punto di svolta della lunga crisi politica del Venezuela. 

Se l’opposizione perderà il controllo dell’AN, come appare probabile visto il suo ostinato rifiuto di parteciparvi, perderà anche la piattaforma elettorale che – dal 2015 fino ad oggi – ha rappresentato lo strumento politico per contrapporsi al governo bolivariano presieduto da Nicolás Maduro.

 

L’emarginazione dell’opposizione guidata da Juan Guaidó – che nel gennaio del 2019 si era autoproclamato presidente del Venezuela – si è fatta più consistente dalla fine di giugno, quando in un’intervista al portale Axios, il presidente Donald Trump ha, di fatto e pubblicamente, tolto il suo appoggio a Guaidó e si è detto disponibile a un incontro con Maduro.

 

L’autoproclamato presidente ha infatti raccolto solo pesanti sconfitte nei suoi tentativi – politici e insurrezionali – di abbattere il governo bolivariano. L’ultimo, il più clamoroso, lo scorso maggio, era stato il fallimento della cosidetta Operacion Gedeón, che prevedeva l’infiltrazione in Venezuela di un gruppo di disertori venezuelani e di mercenari contrattati da un organizzazione statunitense con l’obiettivo di assassinare il presidente Maduro e altri alti dirigenti del movimento chavista. Il contratto con la compagnia di sicurezza statunitense portava la firma dell’inviato di Guaidó, fatto che ha reso inutili i tentativi dell’autoproclamato presidente di negare la sua partecipazione a tale piano.

 

Le deboli smentite dello staff di Trump riguardo alla decisione di scaricare Guaidó non sono servite a frenarne la perdita di legittimità. Né hanno tamponato l’emorragia di dirigenti e quadri dei partiti di opposizione radicale verso i gruppi più moderati e realisti che dall’anno scorso hanno iniziato un dialogo – la Mesa de Diálogo Nacional – con Maduro e il suo partito, il PSUV, per giungere a una soluzione negoziata della lunga crisi politica venezuelana ed evitare una guerra civile o l’intervento degli Usa. L’alleanza tra il PSUV e tali formazioni aveva permesso a gennaio di eleggere Luis Parra – uno dei leader del dialogo con Maduro – come nuovo presidente di turno dell’Assemblea nazionale al posto di Guaidó.

 

L’emergenza della pandemia del Covid-19 ha accelerato il processo per giungere a elezioni politiche. Il Tribunale supremo di giustizia (TSJ) ha nominato come sei “rettori” del Comitato nazionale elettorale (CNE) tre governativi e tre dell’opposizione dialogante, escludendo i dirigenti dei partiti radicali anti-bolivariani come Accion Democratica o Primero Justizia. Da qui, la decisione di Guaidó e dei suoi alleati di considerare una “farsa” le elezioni politiche di dicembre e di chiamare i partiti e gruppi di opposizione al boicottaggio delle urne.

 

Un appoggio alla linea del presidente autoproclamato è venuto dall’Unione Europea con nuove sanzioni contro i dirigenti dell’opposizione che, come il nuovo presidente dell’Assemblea nazionale Parra, accettano il dialogo col governo e hanno deciso di partecipare alle elezioni politiche.

 

La reazione del presidente Maduro è stata altrettanto forte: l’espulsione dal Venezuela dell’ambasciatrice dell’Ue, Isabel Brilhante. Mentre a livello di politica interna il TSJ ha deliberato di consegnare il simbolo di Accion democratica, di Primero Justizia e Voluntad Popular – il nocciolo duro dell’opposizione – ai dissidenti di tali formazioni che, in contrasto con i leader “storici”, hanno accettato di partecipare alle elezioni di dicembre. A sua volta il CNE ha aumentato i seggi da assegnare all’Assemblea nazionale, dagli attuali 167 a 277, suddivisi in 144 (52%) da attribuire con sistema proporzionale e 133 con voto uninominale. La decisione è frutto di un accordo con i “partidos chicos”, le piccole formazioni politiche che partecipano alla Mesa de Diálogo Nacional. Infatti il sistema proporzionale premia le piccole formazioni – alle elezioni di dicembre sono stati ammessi 89 partiti – e rappresenta un forte incentivo per parlamentari e quadri dell’opposizione a candidarsi, con la speranza concreta di guadagnare un seggio.

 

In una dichiarazione all’agenzia spagnola Efe, il politologo Dimitris Pantoulas sostiene che “l’opposizione venezuelana si trova in una via senza uscita”, mentre il presidente Maduro si è notevolmente rafforzato e continua ad avere l’appoggio delle Forze armate. Il suo vero nemico resta la crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia che – seppur in forma assai meno grave rispetto ai due stati confinanti, Brasile e Colombia – continua a colpire il paese. Soprattutto nelle due grandi città, Caracas e Maracaibo.

 

Con sorpresa di molti analisti, all’inizio dell’anno in Venezuela vi sono stati alcuni segnali di recupero economico: l’aumento delle rimesse (4 miliardi di dollari nel 2019) e della produzione di petrolio hanno prodotto un netto miglioramento del consumo interno, legato anche all’autorizzazione della circolazione del dollaro. Una situazione, questa, che ha indotto il ritorno in Venezuela di decine di migliaia di Venezuelani, emigrati dal paese per cause economiche.

 

Nei mesi scorsi, però, l’aggressività del Covid-19, il calo del prezzo del greggio e soprattutto l’aumento delle sanzioni degli Usa e poi dell’Ue hanno messo fine alla speranza di una, seppur piccola, ripresa economica. E sono proprio questi fattori – il contenimento o meno dei contagi del coronavirus come pure della crisi economico-sociale – che mettono a rischio le elezioni e un probabile rafforzamento politico del governo

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