Rossana, stella polare

di Franco Cavalli

 

Il titolo non è mio, l’ho rubato a quanto ha scritto appena appresa la notizia della morte di Rossana Rossanda Loris Campetti, giornalista ex Manifesto e che i lettori di Area ben conoscono per i suoi frequenti articoli sulla situazione della classe operaia italiana.

Effettivamente per me e per tanti altri, per diverse generazioni di comunisti e marxisti critici, Rossana è stata la luce in base alla quale molto spesso cercavamo di orientarci. Riprendo – anche perché penso sia il sentimento che molti di noi hanno provato – un’altra frase dal commento di Loris: “il dolore per la perdita di un’amica, e scrivo amica con un po’ di vergogna: chi sono io per dire amica a Rossana?”

 

Effettivamente anche io, oltre ad un grande affetto, ho sempre avuto per lei un profondo rispetto reverenziale. E non solo perché quando la incontravi ti guardava fisso negli occhi, con uno sguardo affettuoso ma severo, con un atteggiamento che chiaramente non accettava nessuna risposta futile o di poco senso. E poi, anche se lei non te lo faceva mai pesare, non potevi dimenticare che era stata un’interlocutrice critica di Fidel, di Salvador Allende, di Palmiro Togliatti (una delle poche che osava tenergli testa), che aveva discusso da pari a pari con Sartre, Simone de Beauvoir, Althusser e tanti altri, che aveva sfidato i guardiani dell’ortodossia sovietica e che si era fatta espellere, con tutto il gruppo del Manifesto, dal PC, perché dopo l’invasione della Cecoslovacchia aveva sottoscritto la dichiarazione “Praga è sola” e aveva ormai definito irriformabile lo stato sovietico. E anche qui, su come tanti altri punti, la storia le ha poi dato ragione.

 

Come diversi osservatori hanno sottolineato, Rossana era la “matrice” di un gruppo di eretici comunisti, che per la prima volta non erano poi diventati anti-comunisti, ma che anzi avevano continuato a combattere sotto il motto “Il comunismo ha sbagliato, ma non è sbagliato”. Così come aveva definito con un enorme coraggio, ed attirandosi ire furibonde da tutte le parti, i brigatisti rossi – almeno durante un certo periodo degli anni di piombo – “dei compagni che sbagliano, ma dei compagni”.

 

Rossana, che mi ripeteva spesso di essersi ritrovata improvvisamente con i capelli grigi a soli 32 anni all’indomani della rivolta di Budapest (“quando ho visto operai impiccare membri del partito”), ha per tutta la vita cercato, con grande inquietudine interiore, di capire sino in fondo quanto stava capitando nel mondo, partendo dal detto, credo luxemburghiano, che “solo la verità è rivoluzionaria”. E così, di fronte al disastro della sinistra negli ultimi decenni, lei era profondamente convinta, trovandomi del tutto d’accordo, che tutta questa deriva nasceva soprattutto dal fatto che non si erano voluti approfondire le ragioni del disastro e i contenuti emersi dalla svolta epocale del 1989 con la caduta del Muro di Berlino.

 

Fu anche questa la critica che rivolse in modo sferzante nel 2012 alla nuova direzione del Manifesto, con cui perciò ruppe per un lungo periodo i rapporti, anche se negli ultimi anni era poi tornata a scrivervi almeno saltuariamente. Ma nel 2012 era arrivata a dire che “non era più disposta a continuare a partecipare ad un chiacchiericcio inutile”. Perché Rossana era così: sapeva combinare una profonda empatia per tutti quelli che erano in difficoltà, soprattutto ma non solo se erano amici, con una chiarezza ed addirittura talvolta una durezza nell’espressione che potevano talora sconcertare chi non vi era preparato. È perciò che da tutte le parti è stata definita una personalità austera, anche se come ha ben detto Luciana Castellina, è stata una donna che ha vissuto intense passioni e che ha molto amato.

 

Io l’ho seguita da vicino alcuni anni fa quand’era ricoverata alla Clinica Hildebrand dopo l’ictus che l’ha menomata per sempre. Abbiamo discusso per ore, di tutto e di tutti. Talora lei, più libertaria di me, mi criticava per esempio sulle mie posizioni a proposito della Cina, di Cuba o del Venezuela. Rossana aveva talmente interiorizzato l’assioma marxiano “la libertà di ciascuno deve corrispondere alla libertà di tutti”. Mi ricordo poi alcuni episodi particolarmente significativi. Come quando con Giulia Fretta ci presentammo con il manoscritto del mio libro “Curare le persone e la società”, di cui lei avrebbe poi scritto una postfazione e senza tanti complimenti mi fece tutta una serie di osservazioni, per cui dopo qualche settimana, come bravi scolaretti, ritornammo con il manoscritto corretto. Indimenticabili sono poi per me i due giorni trascorsi con lei ad accompagnare Lucio Magri (si veda in proposito la recensione del suo libro “Il sarto di Ulm” in questo stesso numero) nelle ultime ore della sua vita prima del decesso per assistenza al suicidio.

 

Ora, e riprendo la metafora di Loris Campetti, senza di lei abbiamo tutti più difficoltà ad orientarci.

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