Una nuova guerra fredda?

L'Editoriale - Q28

 

Con la rapida deteriorazione dei rapporti tra Cina e Stati Uniti, arrivati ormai ad un minimo storico, molti commentatori sono convinti che stiamo entrando in una nuova congiuntura internazionale, una sorta di “nuova guerra fredda” tra le due principali potenze del pianeta.

Gli USA, confrontati all’impressionante crescita vissuta dalla Cina nell’ultimo decennio, si stanno spingendo in quella che il politologo americano Graham Allison chiama la “trappola di Tucidide”: per timore di perdere il loro ruolo egemone, gli Stati Uniti considerano come inevitabile lo scontro con la potenza emergente, come avvenne tra Atene e Sparta in occasione delle guerre del Peloponneso descritte appunto dallo storico Tucidide. In attesa di uno scontro aperto che si spera non si materializzi mai, gli Stati Uniti approfittano così della loro netta supremazia militare (sia tecnologica che organizzativa) per frenare la crescita di quello che ai loro occhi appare come il loro principale avversario.

 

Dalla “guerra dei dazi” iniziata da Trump negli anni scorsi con lo scopo di spingere la Cina a rinegoziare gli accordi commerciali esistenti, la situazione è rapidamente degenerata nel corso di questa estate. Dopo l’apparente distensione a inizio anno con il taglio dei dazi sulle importazioni americane da parte di Pechino, si è assistito all’esclusione del principale gigante tecnologico cinese, Huawei, dal mercato americano, all’inserzione da parte di Washington delle principali agenzie di stampa cinesi sulla liste delle cosiddette “foreign missions” (operazioni di propaganda e spionaggio di stati terzi sul suolo americano), alla chiusura improvvisa del consolato cinese a Houston, alla revoca del diritto di soggiorno per un migliaio di studenti e ricercatori cinesi iscritti ad università americane, e infine al divieto di vendere microchip prodotti o disegnati in America – leader mondiale del settore – a Huawei, segnando di fatto una sentenza di morte sul colosso cinese. Il governo americano persegue ormai l’obiettivo dichiarato di isolare la Cina e rendere il mercato statunitense indipendente da quello cinese – una promessa che difficilmente potrà essere mantenuta senza costi impressionanti in termini umani ed economici, visto lo stato attuale dell’economia mondiale globalizzata.

 

Come mai questa escalation ha luogo proprio adesso? Molti giornalisti, focalizzati su quanto sta avvenendo a Hong Kong e nello Xinjiang, sembrano aver dimenticato che tra meno di un mese avranno luogo le elezioni americane. Trump, messo alle corde dalla sua gestione catastrofica della pandemia e dalla crisi economica, per assicurarsi la rielezione ha deciso di puntare su una tattica che già Machiavelli raccomandava nel “Principe”: far soffiare i venti di guerra contro una forza esterna per rianimare nel “popolo” lo spirito patriottico e l’amore per il comandante supremo dello Stato.

 

Se anche Trump non dovesse essere rieletto (un risultato tutt’altro che scontato), il futuro non sarebbe necessariamente più pacifico. Come riportato da The Atlantic, il candidato democratico alla presidenza Joe Biden ha deciso d’incentrare la sua campagna sulle presunte debolezze di Trump di fronte alla Cina, promettendo che obbligherà le autorità cinesi a rispettare i diritti umani e a piegarsi alla volontà degli Stati Uniti. E dire che per battere Trump gli basterebbe denunciare la sua totale inettitudine nella gestione della pandemia… In qualsiasi modo vada l’elezione del 3 novembre, dall’anno prossimo alla Casa Bianca siederà un presidente intenzionato ad inasprire – e non certo a distendere – le ostilità tra i due paesi. Le implicazioni di questo conflitto, intanto, riverberano su scala mondiale. Mentre la Russia si affretta a trarre il meglio dalla situazione, sostenendo la Cina in ottica anti-americana ma al contempo cercando di limitarne l’espansione nella sua area d’influenza, l’Unione Europea si trova confrontata all’ennesima impasse, dilaniata tra la volontà dichiarata di porsi come un attore indipendente sullo scacchiere geopolitico, equidistante sia dagli USA che dalla Cina, e il suo costante allineamento alla politica estera della NATO.

 

In Svizzera, il Capo del Dipartimento degli Affari Esteri Cassis si è affrettato ad allineare la politica del paese ai diktat del suo amico Mike Pompeo, il Segretario di Stato americano, con il benestare di tutti i maggiori partiti del paese. Sollevando argomenti per lo meno sorprendenti, diversi esponenti di spicco del PS (ex-JUSO) vanno ormai a braccetto con i peggiori esponenti della destra nazionale e internazionale in organizzazioni come l’Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC). E intanto si stima che l’economia nazionale potrà perdere sino a 1.4 miliardi di franchi nei prossimi anni a causa dei divieti introdotti dal governo americano contro l’utilizzo di tecnologie cinesi…

 

Molte decisioni del governo cinese possono e devono essere criticate con fermezza. Ma l’ostilità aperta e gli atti di aggressione non porteranno a cambiamenti nella linea politica del Partito Comunista Cinese, né tantomeno renderanno il pianeta più stabile e pacifico. Pur mantenendo un sano spirito critico nei confronti della parti in causa, bisogna avere il coraggio di ribadire che le sfide epocali alle quali siamo oggi confrontati, dalla pandemia di Covid-19 al cambiamento climatico, richiedono una collaborazione tra le due principali potenze mondiali. Anziché moltiplicare gli atti di ostilità e soffiare sul fuoco del conflitto, abbiamo più che mai bisogno del dialogo e della pace. Il nostro futuro dipende anche da questo.

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