Svizzera, le politiche di austerità vengono prima della salute

di Joseph de Weck

 

La Svizzera ha superato il Belgio ed è ormai destinata ad oltrepassare la Repubblica Ceca come nazione europea più colpita dal COVID-19. Il tasso di infezione pro capite è circa tre volte superiore a quello della Svezia o degli Stati Uniti e il doppio della media dell’Unione Europea.

E questo non è dovuto solo al ricorso massiccio ai test. La Svizzera si situa alla pari con gli Stati Uniti e con la media europea per la percentuale di test eseguiti. Il tasso di positività al test è arrivato ad un impressionante 27,9%, rispetto all’8,5% della Svezia e all’8,3% degli Stati Uniti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un tasso di positività superiore al 5% indica che il virus è fuori controllo.

 

Il gruppo di esperti scientifici che consiglia il governo svizzero sulla pandemia sta suonando l’allarme da parecchio tempo. Si prevede che le unità di terapia intensiva degli ospedali supereranno la loro capacità massima il 13 novembre. La sfida ormai è di ridurre al minimo il periodo in cui si dovranno razionare i mezzi delle unità di terapia intensiva, afferma il gruppo di esperti.

 

In tempi normali, le celebrità e i politici del mondo intero, come l’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi, vanno in Svizzera per farsi curare nei migliori ospedali del paese. Adesso, la Francia si è offerta di prendere a carico dei pazienti svizzeri affetti da COVID-19 per aiutare gli ospedali del paese.

 

Cos’è andato storto nel paese alpino famoso universalmente per le sue strade pulite e conosciuto per la sua sicurezza, la sua stabilità e la sua buona governance? La risposta, in un certo senso, è semplice: il governo svizzero si è rifiutato di prendere le misure restrittive necessarie per contenere il virus. Le ragioni di questa resistenza, tuttavia, sono meno evidenti, e questo perché gli Svizzeri hanno a lungo nascosto i fondamenti ideologici della loro politica pubblica dietro un vocabolario puramente “pragmatico” e “tecnico”.

 

Come la Germania, la Svizzera è uscita relativamente bene dalla prima ondata in primavera. Un lockdown nazionale attentamente calibrato aveva aiutato a contenere il virus. Ma al contrario di Berlino, Berna non ha considerato il successo della scorsa primavera come un incoraggiamento a mantenere la via della cautela.

 

Al contrario, i bassi tassi di mortalità della prima ondata hanno rinsaldato la percezione popolare della Svizzera come un “caso speciale” – una nazione unica nel suo genere libera dai mali che affliggono il resto del mondo. Nel secolo scorso, la Svizzera non ha mai vissuto una guerra o una grande catastrofe naturale. In questo secolo, gli Svizzeri non hanno subito attacchi terroristici, e i loro portafogli hanno a malapena sofferto le conseguenze della crisi finanziaria globale. La nazione alpina è immune alle crisi globali – o almeno questa è quella che gli Svizzeri credono essere la morale della storia.

 

La pandemia sembrava offrire lo stesso insegnamento. A differenza dei Belgi o dei Francesi, gli Svizzeri hanno capito come gestire il virus – o perlomeno, questa era l’opinione corrente. In conseguenza, il governo ha imposto agli Svizzeri un ordine di marcia inequivocabile: ora focalizziamoci per rimettere in moto l’economia.

 

Dopo la prima ondata, la Svizzera ha dunque rilassato le misure contro il COVID-19 più in fretta e più ampiamente degli altri paesi europei e degli Stati Uniti. Bar e discoteche hanno nuovamente aperto le loro porte. Non c’era nessun obbligo di portare mascherine al chiuso. L’agenzia del turismo svizzera ha rilanciato le sue campagne pubblicitarie sui canali francesi. Addirittura il 1° ottobre, Berna ha tolto il divieto per gli eventi con più di mille persone. Gli Svizzeri hanno passato l’inizio dell’autunno vivendo come se non fosse successo nulla.

 

Ma anche adesso che il governo riconosce che la situazione sanitaria è critica, non si è ancora deciso ad introdurre un “lockdown soft” come quelli degli altri paesi europei. Uno studio dell’Università di Oxford mostra che le misure anti-coronavirus della Svizzera sono molto più lassiste che quelle del resto d’Europa e degli Stati Uniti – e sono solo leggermente più restrittive di quelle della Svezia.

 

Un ostacolo importante è rappresentato dall’applicazione di un forte federalismo in una nazione già di per sé piccola. Dopo la prima ondata, il governo federale aveva delegato ai 26 cantoni la competenza di introdurre le loro misure di contenimento. Ma i cantoni, spesso minuscoli (il più piccolo copre un’area grande a malapena la metà di Manhattan), hanno esitato ad agire. Come politico locale, come fai a spiegare al proprietario di un ristorante che deve chiudere bottega quando il suo collega che vive a cinque minuti di macchina da lì, in un altro cantone, può continuare a lavorare? E il fatto che i cantoni siano responsabili per i costi finanziari delle decisioni sul COVID-19 non ha di certo aiutato.

 

Ma il problema principale è che prendere delle misure più restrittive non si accorda con la filosofia del “meno Stato” tipica della Svizzera.

 

Mancando di risorse naturali e avendo poca terra coltivabile a causa della sua topografia montagnosa, la Svizzera ha tradizionalmente considerato il commercio come l’unica via per la prosperità. Il ruolo limitato dello Stato nella vita pubblica è anche il risultato della creazione del paese a partire da un insieme di stati indipendenti. La motivazione principale che aveva spinto questi cantoni a federarsi non era certo l’amor fraterno o la volontà di costruire uno stato-nazione. Il loro scopo era piuttosto di evitare di essere spazzati via da un qualche impero del continente e di mantenere quanto più sovranità cantonale possibile.

 

In Svizzera, con uno Stato centrale debole e la dipendenza dal commercio, il business l’ha giocata a lungo da padrone. Sin dal 1848, il governo federale a Berna è stato dominato da partiti vicini al padronato. Non c’è un salario minimo e le protezioni per i salariati sono scarse. Il federalismo fiscale alimenta una feroce competizione tra i cantoni. L’intervento del governo nell’economia è generalmente considerato un male.

 

Oggi, gli Svizzeri sostengono nettamente l’iniziativa economica privata. Nel 2012, il 67% degli Svizzeri ha votato contro l’aggiunta di due settimane di vacanza al minimo previsto dalla legge. La nazione è in testa alle classifiche per ore lavorative settimanali in Europa. Nei sondaggi, gli Svizzeri affermano regolarmente di essere principalmente preoccupati dagli effetti della pandemia sull’economia e non dal collasso del sistema sanitario. E lo affermano malgrado che gli ospedali svizzeri stiano già rimandando le operazione necessarie, come la rimozione di tumori per i malati di cancro, per fare spazio ai pazienti COVID-19.

 

Questa inclinazione per il liberalismo di mercato, il conservatorismo fiscale, e una forte etica del lavoro potrebbe spiegare l’importante successo economico del paese e la sua attrattività per le grandi compagnie internazionali.

 

Ma soprattutto spiega perché il ministro delle finanze Ueli Maurer affermi cose come “Non possiamo permetterci un secondo lockdown. Non abbiamo i soldi.” Il tasso di debito pubblico rispetto al PIL della Svizzera si situava solo al 41% nel 2019. Il governo stima che la perdita in attività economica e i piani di sostegno attuati nel primo lockdown implicano che il governo dovrà indebitarsi per 22 miliardi di franchi (3% del PIL nazionale). A titolo di confronto, anche un paese favorevole all’austerità come la Germania ha sinora deciso di indebitarsi per un totale equivalente al 6,4% del PIL per finanziare la lotta alla pandemia.

 

Eppure, Maurer afferma che un nuovo lockdown rischierebbe di sacrificare l’economia e le finanze pubbliche sull’altare della salute pubblica. Ci sono poche voci critiche nei media svizzeri e nella politica contro questa interpretazione. Il lavoro di un ministro delle finanze è di continuare a tenere sotto controllo la spesa pubblica, non lottare contro la pandemia, scrivono gli opinionisti. Nel frattempo, nessun partito politico o nessuna figura politica di spicco ha messo pubblicamente pressione sul governo affinché introducesse un “lockdown soft”.

 

Mantenere aperti i commerci e tenere ben chiuse le casse pubbliche potrebbe essere non solo una pessima politica sanitaria, ma anche una pessima mossa sul piano economico. Mentre la paura della pandemia comincia lentamente a prendere piede, gli Svizzeri sono comunque costretti a ridurre la loro vita sociale, come mostrano i dati disponibili – lasciando i ristoratori aperti ma senza clienti. Tra salute e economia non è possibile nessun compromesso, come stanno imparando gli Svizzeri. L’esplosione del numero di casi positivi non ha evitato un’impennata nel numero di aziende che fanno fallimento.

 

In una crisi come questa, è necessario mettere momentaneamente in pausa la vita e parte dell’economia per poter tornare più forti e più in forma di prima. In una lettera aperta, 50 professori di economia hanno chiesto al Consiglio federali di introdurre finalmente un “lockdown soft”. Il governo continua però a tergiversare. Oscar Wilde affermava: “Il non fare nulla è la cosa più difficile al mondo.” Che sia questa la sfida più grande per un paese che ama lavorare?

 

 

 

Fonte: Foreign Policy, 10 novembre 2020.