Bertoli, ministro delle “cose minori”

PIAZZA APERTA - Pierre Lepori *

 

 

L’onorevole Bertoli, ai nostri microfoni, non degna di una parola il mondo degli artisti e degli operatori culturali: in nome di un sano realismo “montanaro”, afferma che cinema e teatro “hanno, nel complesso, un’importanza minore”. 

 

In spregio a tutti coloro che nel mondo della cultura lavorano. Ma è così che si comporta un ministro della cultura?

 

Onorevole Bertoli, mi consenta di dirle che sono furibondo; se non fossi un ragazzo garbato, oserei forse qualche parola più greve. Certo, il momento che stiamo attraversando è terribile per tutti – operai, artigiani, artisti o giornalisti – ma fino a prova contraria, in quella che Francesco Chiesa chiamava la “Repubblica dell’iperbole”, lei sarebbe il nostro ministro dell’educazione, dello sport e della cultura.

 

Lunedì scorso, su questa rete culturale per cui sono fiero di lavorare, il caporedattore dell’attualità culturale le ha chiesto spiegazioni sulla riduzione a cinque persone di tutte le attività pubbliche e culturali (nel frattempo riportata, in modo quasi surrealista, a trenta persone). Mi aspettavo che lei rispondesse nelle sue vesti di ministro della cultura (scusi se insisto su questa parola). Lei non è il ministro della salute o delle finanze. Eppure si è limitato a rispondere “posso capire che ci sono delle differenze tra quello che è un cinema o, che ne so, una fiera”, e che non è il momento per “cose dedicate più magari all’appagamento dell’anima come può essere la cultura” (fine della citazione).

 

Quel che mi ha scioccato – a parte la sua poca considerazione per le arti e la sintassi – non è questo: è che lei non ha speso una parola per tutti coloro che la cultura la vivono, la fanno, ed è il loro mestiere. Tutti coloro che hanno visto annullate prime teatrali, tournée di spettacoli, incontri letterari, proiezioni cinematografiche o concerti. Non solo il pubblico (che è invitato a lavorare e chiudersi in casa), ma quelli che stanno dietro e davanti alle quinte: i tecnici, i direttori e le direttrici di teatro, attori e attrici, musicisti, cantanti, e potrei continuare a lungo la lista. Vorrei ricordarle che non sono spensierati guasconi che lo fanno per diletto e solo al soldo di sussidi statali; anche se ci mettono l’anima, è il loro mestiere. Per tutti loro, per tutti noi, lei non ha speso una parola. Ha certo confermato che si troveranno soluzioni finanziarie per tutti (su questo punto, avrei comunque qualche dubbio). Ma in una successiva intervista ha ribadito che “il cinema e il teatro, nel complesso, hanno un’importanza minore”.

 

Salvo che lei non è il ministro del complesso ma proprio di queste cose minori. Anziché parlare come ministro della cultura, lei ha scelto un impassibile profilo basso, quel sano passo da montanaro che il Governo continua a vantare… montanaro che ovviamente non può che considerare artisti e operatori culturali come simpatici perdigiorno.

 

Quando chiesero a Winston Churchill di chiudere i teatri, durante la guerra, pare che lo statista abbia risposto “ma per cosa allora dovremmo combattere?”. L’aneddoto a quanto pare è falso, ma ci permetta di sognare. E magari, perché no, sogni un poco anche lei: se lei fosse il ministro della cultura di una città come Berlino o New York, o magari solo di Losanna (fiera della sua cineteca, del Théâtre de Vidy o dell’Opéra), probabilmente di fronte alla sua completa mancanza di empatia per il mondo culturale, per gli artisti, gli intellettuali, gli operatori che dovrebbero fare la ricchezza critica di un paese, qualcuno le avrebbe chiesto le dimissioni. Io non lo farò, per carità, non è il mio ruolo. Ma non credo di essere l’unico, onorevole Bertoli, ad essere profondamente deluso. E anche un po’ – se mi consente – anche un po’ incazzato.

 

 

 

 

 

* Pierre Lepori

giornalista di Rete 2