Gli scritti di Sergio Agustoni e l’operaismo

di Bruno Strozzi

 

Teorie e prassi dei movimenti alternativi negli anni Sessanta: attualità e senso di una riflessione

 

Devo premettere che questo scritto NON è una recensione del libro di e su Sergio Agustoni, pubblicato recentemente dalle Edizioni Casagrande in collaborazione con la Fondazione Sergio Agustoni, e grazie al lavoro importante del ricercatore e storico Mattia Pelli, condotto secondo una metodologia fondata sulle interviste a protagonisti della lotta politica negli anni Sessanta e Settanta.

 

A me qui interessa rilevare che questa pubblicazione è importante perché ci obbliga a riflettere sulla interpretazione che era stata fatta allora della realtà politica e economica in Svizzera e in Europa. Ed in particolare ci fa riflettere su teoria e prassi dei movimenti che si volevano alternativi, come Lotta di classe, il gruppo politico a cui aveva aderito Sergio Agustoni. Movimento che ad un certo punto della sua storia (inizio anni Settanta) ha fatto riferimento ed ha ufficialmente utilizzato la teoria e la prassi politica dell’operaismo italiano, con particolare riferimento al gruppo di Potere operaio il cui principale esponente è stato Toni Negri. La scelta organizzativa e politica successiva di “sciogliersi nel movimento” seguendo le indicazioni venute da Potere operaio aveva di fatto chiuso la storia di quel gruppo, lasciando ai singoli militanti di decidere individualmente sul che fare. Un esito che aveva allora sconcertato diversi militanti.

 

Ora la necessità di tornare su quei temi è a mio avviso legata non tanto all’importanza di quell’esperienza storica, ma proprio agli sviluppi successivi della società del capitale, ed alla evidente debolezza attuale dell’intera sinistra di fronte alle trasformazioni sociali generate dai cambiamenti economici e sociali che la società industriale ha subito tra gli anni Ottanta ed oggi. Teorie e pratiche diverse nei movimenti politici che allora si volevano “alternativi” non sono state in grado di contrastare realmente quanto poi è successo. E soprattutto non hanno saputo porre le basi per la costruzione di un’alternativa credibile.

 

Riferendomi al libro su Sergio Agustoni vorrei rilevare come la visione “operaista” che esce dalle testimonianze riportate nella ricerca di Mattia Pelli finisce per suggerire l’idea che l’operaismo italiano sia stata la sola fonte politica importante che aveva alimentato la ipotesi politica e la prassi di Sergio. Penso invece che la lettura dei suoi testi convincerà i lettori del contrario.

 

Per dare il giusto valore alle analisi di Sergio Agustoni (su urbanizzazione e lavoro in Svizzera) credo sia giusto dire che hanno indicato lucidamente dei temi alla politica che oggi la sinistra intera non può ignorare, anche se non hanno aperto allora vie nuove per la prassi politica. Una lettura unicamente “operaista” è a mio avviso limitativa e fuorviante rispetto al contenuto reale dei suoi testi.

 

Su tutti questi temi si dovrà tornare con una ricostruzione della situazione globale di quegli anni tra 1960 e 1980, per verificare che cosa è realmente successo in Svizzera e soprattutto che cosa i movimenti alternativi che si volevano tali hanno saputo cambiare. La mia ipotesi è che poco o nulla abbiano cambiato, rimanendo in ritardo sui movimenti reali delle iniziative del capitale.

 

Oggi non si tratta di celebrare o rinnegare quanto si è cercato di fare, ma di capire perché le analisi che si facevano allora erano spesso soprattutto ideologiche e il nostro era un volontarismo spesso ingenuo. Che ha conseguentemente ignorato una serie di realtà politiche e sociali dentro la società svizzera.

 

Penso che oggi andrebbe interamente rivista anche la lettura che è stata fatta della prassi politica e organizzativa di quegli anni. Sembra essere stato ignorato che dopo il Sessantotto il modo di organizzare la politica da parte dei movimenti che si volevano alternativi ha ripetuto in forme diverse il modello di organizzazione “di partito”, che solo per semplificare possiamo chiamare “leninista”. Malgrado i temi posti dal Sessantotto e sviluppati da pensatori diversi, non è stata posta domanda pratica se, di fronte alle condizioni mutate del capitalismo globale, non fosse evidente la necessità di nuove forme di organizzazione per costruire alternative reali.

 

Il risultato è che oggi questo tema rimane assente o inesplorato nella riflessione politica. E si continua di fatto a usare solo l’accetta per tagliare le singole piante quando il capitale globalizzato usa ormai i più sofisticati strumenti tecnologici per produrre deforestazioni su larga scala. Questa metafora dei ritardi e dell’impotenza reale a sinistra non è solo la conseguenza del pensiero unico che pervade la vita intera. Oggi il denaro genera se stesso e con il “capitalismo finanziario” è penetrato in tutti gli aspetti della quotidianità, impadronendosi della nostra vita. Esso è ormai divenuto la nuova divinità, unica vera grande ideologia trasformatasi in realtà. Mi chiedo perché sembra che lo consideriamo ormai un fatto naturale come il sole e l’aria che respiriamo. A me pare che da questa domanda dovrebbe poter ripartire una riflessione nuova.

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