L'editoriale - Quaderno 29

Molta, troppa confusione, molti, troppi morti

 

Durante la prima ondata della pandemia, in primavera, il Consiglio federale aveva tutto sommato gestito in modo perlomeno accettabile la situazione, non da ultimo perché il Consiglio di Stato ticinese aveva fatto da buon apripista.

Qualche scivolone c’era stato: ricordiamoci per esempio di quando, dopo aver deciso che le persone a rischio erano esentate da qualsiasi attività lavorativa, sotto la forte pressione degli ambienti padronali e finanziari aveva battuto precipitosamente in ritirata.

 

Passato il primo spavento, il nostro governo nazionale ha però nel frattempo inanellato una serie di errori, sostantivo forse troppo blando per descrivere quanto capitato negli ultimi mesi. A cominciare da quando, dopo aver annunciato che le misure di lockdown sarebbero state abolite progressivamente secondo un piano abbastanza prudente, ad inizio giugno venne invece riaperto tutto all’improvviso (anche qui sotto l’influsso decisivo degli ambienti padronali), facendo passare alla popolazione un messaggio fatalmente sbagliato: “fate quello che volete, ormai il pericolo è passato”.

 

Anche se non ce n’era l’intenzione, questo è il messaggio che è stato recepito da gran parte della popolazione, come era prevedibile. È bastato vedere il comportamento di molti tra i turisti che hanno invaso il Ticino durante l’estate per rendersi conto che questa era proprio la convinzione che la maggioranza si era fatta.

 

Ecco quindi spiegato perché la seconda ondata è arrivata prima ed è stata più violenta del previsto. Seconda ondata di fronte alla quale il Consiglio federale ha dimostrato di non essere all’altezza della situazione, commettendo addirittura una serie di errori madornali. Non per niente in tutta Europa ci si sta ora meravigliando dell’alta letalità registrata in ottobre e novembre in Svizzera, ed addirittura la NZZ – organo ufficiale del padronato e della destra economica – ha recentemente intitolato un suo commento “I letali tentennamenti in ottobre” (25.11.2020). E sì che lo stesso quotidiano nei mesi passati aveva spesso invitato il Consiglio Federale a non esagerare con le misure di precauzione! Questa volta però la NZZ, a fronte di cifre desolanti, si chiede se il nostro governo non sia responsabile dei troppi morti che ci sono stati.

 

In totale, dall’inizio della pandemia, siamo ormai quasi a 4’500 decessi, e solo per le due prime settimane di novembre i dati statistici ci dicono che tra la popolazione al di sopra dei 65 anni ci sono stati almeno 600- 800 morti “di troppo”, paragonando le cifre con quelle degli scorsi anni.

 

Il Consiglio federale si è costantemente rifiutato di prendere in mano la situazione ed ha lasciato che fossero i cantoni a doverla gestire, creando una letale confusione. Basterebbe pensare solo al Consiglio di Stato zurighese (in cui c’è addirittura una “socialista” negazionista sull’uso della mascherina) che si è rifiutato di seguire diverse delle raccomandazioni federali.

 

L’unica che sinora sembra essersi posta perlomeno il problema di sapere se si sono fatti grossi sbagli è Simonetta Sommaruga, mentre il serafico Berset continua a ripetere che si è cercato di bilanciare in modo ottimale i vari rischi.

Maurer, che si è sempre battuto per ridurre al minimo le misure di precauzione, ha addirittura detto a muso duro che quanto capitato “era da prevedere e va bene così”. Ed ecco allora che niente meno che la NZZ (ed è tutto dire) si pone la terribile domanda di sapere se “la Svizzera ha lasciato morire delle persone per rispettare le esigenze dell’economia”!

 

Retrospettivamente, il Consiglio Federale dovrebbe avere il coraggio di riconoscere almeno che quando all’inizio di ottobre improvvisamente le cifre dei contagi esplodevano, si sarebbero dovute prendere immediatamente delle misure, per esempio chiudendo subito bar e ristoranti e prevedendo almeno alcuni lockdown di breve durata, con tutti gli aiuti economici necessari per la popolazione toccata. Era il minimo che ci si poteva aspettare. Come scriviamo in un articolo di questo numero, Cuba ha 50 volte meno morti della Svizzera. Ma sull’isola caraibica il principio fondamentale è che “la vita non ha prezzo”. Ciò non sembra invece essere il caso da noi, come descriviamo più in dettaglio nell’articolo “La borsa o la vita”. La precedenza, da noi, ce l’ha sempre la borsa dei padroni.

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