Ripartiamo dal servizio pubblico

di Franco Cavalli

 

Intervista a Cédric Wermuth. Il nuovo copresidente del PSS Cédric Wermuth e Beat Ringger hanno pubblicato quest’estate la loro ultima opera: Die Service-public-Revolution. Corona, Klima, Kapitalismus – eine Antwort auf die Krisen unserer Zeit (La rivoluzione a partire dal servizio pubblico. Coronavirus, clima, capitalismo – una risposta alle crisi del nostro tempo, Rotpunktverlag, 216 p.)

Si tratta di un libro agile e incisivo, ricco di spunti concreti per far fronte alla crisi sanitaria, economica e ambientale nella quale ci troviamo. L’ambizione è quella di gettare le basi per un’agenda politica alternativa che travalichi gli steccati partitici e che permetta di introdurre i cambiamenti più che mai urgenti di cui la nostra società ha bisogno, partendo in particolare dal servizio pubblico. Tutte proposte vicine al pensiero del think tank Denknetz, di cui Wermuth e Ringger fanno parte. Ne abbiamo discusso con lo stesso Cédric Wermuth, poco dopo la sua elezione alla testa del PSS con Mattea Meyer.

 

 

Franco Cavalli: Il titolo necessita una spiegazione. Perché avete scelto “La rivoluzione a partire dal servizio pubblico” e non invece per esempio “Una rivoluzione necessaria” o qualcosa di simile?

 

Cédric Wermuth: Sul titolo dei libri si può sempre discutere. Con questo libro noi volevamo sottolineare come in questo momento ci troviamo davanti alla necessità di un cambiamento profondo della società. Il punto centrale da cui dobbiamo partire non deve più essere il profitto privato, ma i veri bisogni della popolazione. Abbiamo quindi deciso di scegliere un metodo un po’ diverso da quello usato da tanti altri libri di sinistra che appaiono attualmente. La storia è piena di lotte contro la logica capitalistica e ne troviamo molte tracce anche nelle nostre società attuali. Noi volevamo riprendere queste tracce, e appunto mostrare che la rivoluzione che riteniamo necessaria può cominciare da realizzazioni conosciute e non è qualcosa di completamente nuovo o addirittura un salto nel buio. In questo senso il servizio pubblico è probabilmente l’esempio migliore da cui partire. Non bisogna inoltre dimenticare che la sinistra svizzera è riuscita a difendere il servizio pubblico molto meglio di quanto non sia capitato nei paesi a noi vicini.

 

 

Su molti di questi temi il think tank Denknetz ha già pubblicato parecchio: cosa c’è di nuovo nel libro? O questo ultimo è semplicemente la somma di prese di posizioni precedenti?

 

Abbiamo cercato di mettere assieme un programma di lavoro coerente sia riprendendo temi già trattati che nuovi elementi. L’idea che il servizio pubblico sia il luogo da cui partire per un cambiamento rivoluzionario della società non è nuova. Negli ultimi 20-30 anni in Svizzera però la questione non è stata molto tematizzata. Così facendo volevamo anche mostrare che non è assolutamente vero che la sinistra non ha progetti per il “dopo”. Al contrario abbiamo ottime proposte, già parecchio sviluppate.

 

 

Una delle novità principali rispetto ai documenti precedenti è che ora richiedete che almeno una parte importante dei monopoli farmaceutici ma anche delle prestazioni bancarie debbano essere nazionalizzate o almeno dirette da meccanismi pubblici. Come lo giustifichi? Forse anche perché gli JUSO alla loro ultima assemblea hanno ora richiesto la nazionalizzazione dei monopoli farmaceutici?

 

Questa presa di coscienza è cresciuta parallelamente da noi e presso gli JUSO. Nel libro noi diciamo chiaramente che dopo le esperienze degli ultimi anni dobbiamo porci le domande sul servizio pubblico in un modo completamente nuovo. E cioè, non dobbiamo più chiederci “qual è lo spazio che il mercato lascia al servizio pubblico” ma piuttosto “cosa possiamo ancora lasciare al libero mercato, senza che ciò rappresenti un grosso pericolo per la società”. E se c’è qualcosa che la crisi finanziaria e la pandemia hanno chiaramente mostrato è che finanza e farmaceutica sono entità che hanno un peso decisionale enorme su come si sviluppa e verso dove va la nostra società. Non c’è quindi ormai più dubbio che queste entità devono essere governate in modo democratico.

 

 

Da molto della vostra analisi traspare una visione marxista. Si ha però un po’ l’impressione che non vogliate ammetterlo del tutto, che abbiate una certa paura di essere messi nell’angolo in quanto marxisti.

 

Per niente. Poco più di un anno fa Beat ed io abbiamo pubblicato un volume collettaneo intitolato MarxnoMarx per commemorare i 200 anni della nascita di Karl Marx. Nell’introduzione abbiamo cercato addirittura di definire qual è, ma anche quale non è, il nostro approccio marxista, e l’apertura verso analisi di sinistra pluraliste fa parte di questa nostra definizione. È anche vero che Marx non ha inventato tutto, ma ha spesso sistematizzato conoscenze di altri pensatori contemporanei, ciò che non diminuisce per niente la sua importanza. Inoltre per fortuna dal 1848 la sinistra si è ulteriormente sviluppata. Noi abbiamo appunto cercato di dimostrare che si può arrivare da punti di vista diversi alla conclusione che sia necessaria una rivoluzione a partire dal servizio pubblico. Ed è a queste conclusioni che dobbiamo arrivare. Definire cioè programmi che possano riunire una maggioranza, perlomeno all’inizio una maggioranza nella sinistra.

 

 

Una rivoluzione non si fa senza un movimento che la porta. Come si può evitare che le vostre proposte rimangano solo dei pii desideri? Probabilmente già una gran parte del PSS e dei sindacati (pensiamo a molti funzionari e a tanti consiglieri di stato) saranno scettici o addirittura del tutto contrari. Perciò si torna sempre alla domanda di base: che fare?

 

Sicuramente è vero che questo è il punto più debole del libro. Diversi commentatori, soprattutto tra le fila dello Sciopero per il clima, l’hanno già sottolineato (abbiamo aperto una piattaforma di discussione su www.service-public-revolution.ch). Questo è in parte dovuto al fatto che abbiamo avuto solo due mesi scarsi per preparare il libro. Volevamo essere molto rapidi per portare delle proposte concrete nel dibattito sulla società post-covid. Siamo convinti che l’idea di una rivoluzione a partire dal servizio pubblico abbia il potenziale per riunire molte battaglie: dal movimento femminista per una società del Care sino allo sciopero per il clima o addirittura ai sindacati. Però è vero, questo aspetto dobbiamo ancora approfondirlo parecchio.

 

 

Il capitalismo finanziario diventa sempre più importante rispetto a quello produttivo: nel mezzo di questa crisi mondiale le borse fanno festa e i miliardari non hanno mai guadagnato così tanto come ora. L’impressione è che rispetto a questo sviluppo l’attuale sistema fiscale sia ormai sorpassato. Anche qui c’è forse bisogno di una rivoluzione: per esempio quella della microimposta delle transazioni finanziarie. Cosa pensi di questa iniziativa?

 

Sono molto contento che sempre più persone al di fuori dei partiti e delle organizzazioni tradizionali si diano da fare per formulare proposte che vanno al di là degli affari correnti. Trovo che l’idea di base dell’iniziativa sia interessante, penso però che abbia anche delle criticità. Penso per esempio che sarebbe un grosso sbaglio eliminare l’imposta federale diretta.

Questa imposta ha una progressione abbastanza forte, che porta quindi ad una redistribuzione del reddito dall’alto verso il basso. Questo è ovviamente fondamentale, dal momento che la concentrazione dei redditi e delle sostanze porta sempre con sé anche una maggior concentrazione del potere.

Sono però aperto alla discussione e penso che dovremo parlarne con calma con coloro che hanno lanciato l’iniziativa.

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