Serve un cambio di passo

PIAZZA APERTA - Sindacato Unia Ticino e Moesa

  

Per contrastare l’aumento dei morti e degli incidenti gravi sui cantieri edili non bastano le campagne di sensibilizzazione, ma servono interventi per ridurre al minimo fattori di rischio riconosciuti quali lo stress, gli elevati ritmi di lavoro ed i risparmi nel campo della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori.

 

Per il sindacato Unia Ticino e Moesa è urgente e indispensabile promuovere un altro tipo di cultura imprenditoriale rispetto a quello che impone di lavorare sempre e a qualsiasi costo. A maggior ragione di fronte all’attuale situazione di pandemia, che ha ulteriormente acuito i problemi.

 

Nonostante la tendenza generale ad una diminuzione complessiva degli infortuni, tanto sbandierata dalle organizzazioni padronali, sono ormai 10 anni che sui cantieri svizzeri si registra un costante aumento degli infortuni mortali e gravi e del rischio d’incidente (in Ticino in modo particolare). I motivi sono chiari: da tempo assistiamo ad una costante crescita dei ritmi di lavoro, della produttività e della flessibilità, dettata dal contesto di concorrenza sfrenata e brutale che provoca la corsa al minor prezzo, tagli di personale e il mancato rispetto di elementari concetti di sicurezza.

 

Nel corso del 2020 Unia ha presentato i risultati di un sondaggio che ha coinvolto 12.000 lavoratori edili e capi muratori, da cui risulta che 3/4 di loro definisce come un’importante fonte di stress e una minaccia per la qualità e la sicurezza del lavoro la crescente pressione dei termini di consegna delle opere, che i committenti vogliono far rispettare a tutti i costi, anche quando non sono realistici sin dall’inizio. E durante questa pandemia, a partire dalla fine del lockdown della scorsa primavera, questa dinamica ha subito un’ulteriore accelerata: si lavora come matti, in qualsiasi condizione e a qualsiasi costo, come dimostra anche la fallimentare implementazione delle misure di protezione dal virus sui cantieri, di cui dà conto un sondaggio realizzato da Unia lo scorso autunno. A pagarne il prezzo più elevato sono ovviamente i lavoratori.

 

In questo contesto possono fare ben poco le campagne, peraltro ben organizzate, promosse dalla Suva. Il principio “STOP in caso di pericolo" (secondo cui in caso di mancato rispetto di una regola vitale il lavoratore ha il diritto e il dovere di sospendere il lavoro e di riprenderlo solo dopo aver eliminato il pericolo) non trova sufficiente applicazione, perché la paura di venire licenziati prende il sopravvento e induce ad assumere e ad accettare rischi per la propria incolumità in sé inaccettabili. I lavoratori sono stanchi di finire sul banco degli imputati e di vedere confusa una presupposta colpevole “negligenza” con un sistema di lavoro che in realtà li obbliga e li spinge in una direzione purtroppo ben precisa.

 

Di qui la necessità che le organizzazioni padronali, le imprese, i committenti e gli organismi di controllo si assumano fino in fondo le rispettive responsabilità per garantire la sicurezza e la tutela della salute sui cantieri e compiano tutti gli sforzi necessari a invertire la preoccupante tendenza osservata nell’ultimo decennio. Una tendenza che purtroppo anche in questo 2021 non accenna a invertirsi, come testimonia la morte lo scorso 8 gennaio su un cantiere di Paradiso di un operaio 54enne.