Un varco verso la pubblica arena

di Ferruccio Gambino

 

Nel volume Il lavoro, la fabbrica, la città, Sergio Agustoni (1948-2012) ci viene incontro visivamente con una foto della fine degli anni 1960 che lo ritrae in una manifestazione ginevrina dove parla all’aperto indossando un eskimo, ...

... il giaccone che l’intendenza militare statunitense aveva lanciato durante la guerra di Corea e che, un quindicennio dopo, gli antimilitaristi occidentali avevano convertito in un emblema della resistenza giovanile all’imperialismo.

 

Poche pagine dopo, Agustoni è ritratto nel 2008, viso sorridente, in compagnia di due amici al Locarno Film Festival per la proiezione di Giù le mani, il documentario sullo sciopero alle Officine bellinzonesi (OBe) che lo aveva visto ancora una volta coinvolto in un conflitto di lavoro. Nel quasi trentennale intervallo di tempo intercorso, Agustoni è passato dall’attivismo nei siti industriali alla riflessione sulle condizioni di lavoro e sulle crescenti disparità di potere e denaro e poi, ancora una volta, all’impegno diretto nello sciopero a Bellinzona.

 

Il libro raccoglie un’antologia di quelli scritti di Agustoni che risalgono al periodo 1995-2011, ossia agli ultimi diciassette anni attivi della sua vita. Mattia Pelli ne ha scelto i testi e vi ha premesso un lungo e attento saggio introduttivo. Christian Marazzi ha curato la pubblicazione e ha stilato una prefazione dove indica gli obiettivi della ricerca di militante e studioso di Sergio Agustoni lungo il percorso della sua attività pubblica (1967- 2011): “Il lavoro, i conflitti e le loro organizzazioni, i flussi migratori, le professioni, le forme di vita, i luoghi, le città e i territori” (p. 11). Di questi temi Mattia Pelli dà conto nel suo saggio introduttivo, per il quale si è ampiamente documentato, anche intervistando coloro che sono stati/e vicini/e a Sergio fin dalla seconda metà degli anni 1960. Quanto agli scritti di Agustoni, in questa antologia non compaiono i suoi testi precedenti il 1995 se non per citazioni all’interno del saggio introduttivo di Pelli. Tuttavia la continuità degli interessi di Agustoni non può sorprendere chi, come me, l’ha conosciuto. Sui principali e costanti temi della sua lunga ricerca di studioso e militante scrive Christian Marazzi: “Sergio Agustoni li ha fissati in quattro obiettivi editoriali: lo studio delle trasformazioni socio-urbanistiche ‘dal basso’ della città di Zurigo (curato da Hans Widmer e pubblicato nel 2017 con il titolo Die Andere Stadt); la ricostruzione storica del ruolo degli immigrati nelle lotte autonome a Ginevra dei primi anni Settanta, affidato alle cure di Alda Degiorgi; il territorio deturpato del Mendrisiotto affidato a Roberto Stoppa. E poi questo volume, che in origine avrebbe dovuto avere quale titolo L’operaismo in Svizzera e che oggi si presenta come Il lavoro, la fabbrica, la città, Gli scritti di Sergio Agustoni, intellettuale militante.”

 

Indubbiamente, le scelte politiche e culturali decisive di Sergio Agustoni si situano nel breve arco della sua adolescenza e della prima giovinezza. A differenza di coloro che sono nati/e dalla metà degli anni Trenta ai primi anni Quaranta e che poi hanno trovato, spesso a fatica, una loro strada nell’impegno politico poco prima o durante il biennio del 1968-69, il giovane Agustoni punta direttamente e con sicurezza all’impegno politico e allo studio dei processi sociali. Il breve periodo trascorso alla facoltà di sociologia di Trento, dove assiste alle memorabili assemblee studentesche del dicembre del 1967, è soltanto una prova del nove che lo conferma nella sua sensibilità per i temi del lavoro e del conflitto sociale; nel 1968 è studente di sociologia all’università di Ginevra e già si pone in evidenza nelle campagne di rottura della pace sociale grazie alla prospettiva, pur ancora minoritaria, di un rapporto politico tra operai e studenti, mentre non viene meno la sua attenzione ai movimenti di liberazione nel mondo. In parallelo, Agustoni guarda al Maggio ’68 francese e si avvicina ai testi dell’operaismo che in Italia va emancipandosi dai partiti storici del movimento operaio: Quaderni Rossi, Classe operaia e Potere operaio veneto-emiliano che a sua volta incuba Potere operaio, fondato nel settembre del 1969.

 

Azione militante e studio sono le due linee traccianti della sua intensa attività a Ginevra nel Movimento giovanile progressista (MGP) e poi in Lotta di Classe/ Klassenkampf, i due gruppi dove Agustoni matura politicamente. Il conflitto industriale a Ginevra e in altre aree svizzere lo induce alla scelta di una tesi di laurea in sociologia del lavoro che è un’inchiesta scritta con Alda Degiorgi, Gérald Fioretta e Bernard Kundig sulla metallurgia ginevrina (1973), terreno di conflitto sul quale i giovani militanti e studiosi si sono battuti. Nel 1973 partecipa al seminario padovano sulle migrazioni, i cui contributi – tra i quali quello di Agustoni – vengono raccolti in un volume della collana “Materiali marxisti” (Alessandro Serafini e altri, L’operaio multinazionale in Europa, Feltrinelli, Milano 1974). Tuttavia il 1973 segna non soltanto il crepuscolo di Lotta di Classe/Klassenkampf in Svizzera e di Potere operaio in Italia ma anche l’inizio di una crisi profonda dell’economia internazionale e di una ristrutturazione che dirada molte grandi concentrazioni operaie con le delocalizzazioni e che comprime il conflitto industriale, colpendo in particolare i giovani migranti nell’Europa occidentale, Svizzera compresa.

 

Di qui deriva in parte la decisione di Agustoni di spostarsi da Ginevra a Zurigo, dove completa con Katharina Ley una ricerca sull’immigrazione italiana nell’Istituto di sociologia della locale Università, per poi spostarsi nel 1980 alla redazione zurighese del telegiornale della Svizzera italiana, dove sarà attivo per lunghi anni come giornalista. In questa professione Agustoni dimostra ancora una volta le sue doti di studioso dei processi sociali, annotando una grande mole di osservazioni che lo aiuteranno anche a comporre i saggi e gli articoli raccolti in questo volume. Dunque, se apparentemente nel decennio 1980 non pubblica, in realtà Agustoni continua nel suo lavoro di acuto e partecipe osservatore delle grandi trasformazioni industriali (e delle grandi inerzie della rendita) che si dispiegano in quello scorcio di secolo.

 

Le prime due sezioni dei suoi scritti nel volume riguardano la città e il post-fordismo (pp. 149-305) e sono leggibili in più di un registro. Qui vorrei accennare a un tema ricorrente che forse rende possibile una loro lettura inattuale. A una prima scorsa, i testi sulla città appaiono come tanti referti sull’assetto territoriale che la pubblica amministrazione svizzera ha progettato destreggiandosi prudentemente, stretta com’è tra le preoccupazioni della popolazione locale, le mire degli investitori interni ed esterni e le spinte dei gruppi di pressione e d’interesse. Con un’apparente sospensione di giudizio Agustoni discute di planimetrie, di aree edificabili, di piani regolatori, di dimensioni massime consentite per quartieri ed edifici, constatando tra l’altro che parecchie costruzioni saranno destinate a svettare fino ad altezze mai raggiunte nelle principali città della Confederazione, anche se maggiori cautele sono riservate ai borghi dove gli imprenditori del lusso svagato intendono sviluppare un turismo cosmopolitico di élite. Nella sfera pubblica rimangono a quel tempo inascoltate le previsioni sul riscaldamento climatico (che Agustoni già segnala), e che nel corso del tempo è destinato ad abbattersi inesorabilmente anche sulle Alpi. Per contro, rimangono implicite le considerazioni sulla liquidazione – decisa a tavolino dall’intreccio di burocrazia e profitto – di una civiltà repubblicana che nel corso dei secoli aveva fondato e nutrito il tendenziale egualitarismo delle comunità locali, dove pure gli edifici privati riflettevano sì la posizione censuaria dei vari focolari ma in rapporti socialmente accostabili e solo raramente soverchianti.

 

A lungo il repubblicanesimo, persino nella sua versione più aristocratica (a Venezia, in primis), ha lasciato spazio a processi di approssimativo eguagliamento. Agustoni osserva dunque che anche nell’urbanistica svizzera le distanze sociali diventano siderali. La sua constatazione è apparentemente fredda e fattuale. Benché adesso sembri latente la sua passione civile – quella che negli anni 1970 aveva denunciato la stagionalità precaria, gli alloggi squallidi e la sperequazione salariale per gli immigrati, tuttavia a una lettura in filigrana – quella passione è possibile coglierla: come quando Agustoni nota il salto di scala dal turismo famigliare all’industria dei resorts per il jet set internazionale, resorts che, sia detto per inciso, gli architetti sono preposti a rappresentare come immaginarie comunità bucoliche del futuro e non come campi discretamente trincerati dalla barriera del valore del mondo attuale. Si tratta ovviamente di un processo globale che va dalle isole privatizzate nelle Filippine alle valli innevate del Wyoming.

 

Nei capitoli sul post-fordismo (pp. 273-305), sul lavoro (pp. 309-418) e sull’immigrazione (pp. 421-433) Agustoni affronta i temi scottanti di tendenze contrapposte: deindustrializzazione nelle vecchie aree non riconvertite da un lato, e movimenti migratori verso le metropoli dall’altro. Un capitalismo industriale che nelle metropoli punta all’abbassamento del costo del lavoro in tutte le sue voci deve necessariamente diventare un capitalismo dagli agili investimenti diretti da distribuire accortamente ai quattro angoli del mondo. Al contempo, si tratta di un capitalismo che è costretto a prendere sul serio la pressione che i potenziali migranti esercitano alle frontiere dell’Europa, dell’America del nord e di altre aree relativamente ricche. Non stupiscono dunque, come osserva Agustoni (p. 343), né la massa dei posti di lavoro che le società svizzere hanno attivato direttamente all’estero (più di 1 milione e trecentomila nel 1993, secondo la Banca nazionale), né i movimenti di ripulsa degli immigrati e dei frontalieri che la destra alimenta – movimenti, nota Agustoni, a loro volta contrastati dai/dalle figli/e e nipoti degli immigrati.

 

C’è da augurarsi che l’opera intrapresa con la pubblicazione di questo volume possa continuare, in modo che diventino accessibili al pubblico in un prossimo futuro anche gli scritti di Agustoni del periodo 1968-1995. Nel suo insieme questi testi saranno la testimonianza della capacità generatrice di un pensiero collettivo che in condizioni sovente difficili si è aperto più di un varco nella pubblica arena, anche se negli anni 1970-1980 ben pochi ci avevano scommesso.

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