Renzi e il «Vogliamo tutto» della lotta di classe dei padroni

di Paolo Favilli*

 

Crisi di governo. Grazie agli «utili idioti» di sinistra che hanno proclamato la «fine della lotta di classe», proprio quando era in corso il più colossale trasferimento di ricchezza dal basso all’alto.

Quasi sei anni fa, quando il presidente del consiglio Renzi era all’apice della sua «gloria», scrissi un articolo che cominciava così: «Matteo Renzi è maleducato, cialtrone, ignorante. Quest’affermazione non ha alcun carattere insultante. Tutti i termini della triade possono essere sottoposti ad un vastissimo e fondato sistema probatorio» (il manifesto del, 30/05/2015).

 

OGGI SI POTREBBERO aggiungere altri aggettivi, non edificanti, ed ugualmente passibili di prova certa. Voglio però soffermarmi su quella che è la sua principale funzione nell’attuale contesto politico, un contesto in cui è la punta di diamante del vogliamo tutto padronale, il rovesciamento di quel vogliamo tutto che è stato l’orizzonte della lotta di classe dal basso nel corso degli anni Settanta.

 

Vogliamo tutto, adesso, è il terreno dove si svolge un’altra forma di lotta di classe, quella promossa dall’alto: «it’s my class, the rich class, that’s making war, and we’re winning». (W. Buffet, «The New York Times», Nov. 26, 2006). Ed a volere tutto sono, conseguentemente, coloro che stanno vincendo, od hanno vinto, questa fase della warfare. Una guerra che tutto il sistema discorsivo dominante ha negato essere mai stata, ed essere in atto . Sistema discorsivo al cui consolidamento hanno contribuito, non poco, gli apporti provenienti dagli «utili idioti» di sinistra sulla proclamata «fine della lotta di classe», proprio quando era in corso, a livelli mai visti nel Novecento, il più colossale trasferimento di ricchezza dal basso all’alto.

 

NEL PROCESSO comunicativo prodotto dalla quasi totalità dei media e del discorso politico, così come dalle molteplici forme d’intrattenimento, la lotta di classe è scomparsa tramite evaporazione di uno dei poli: la materialità dei padroni. I padroni sono stati assunti nell’empireo, non popolano più il nostro basso mondo le cui logiche di funzionamento economico-sociale sono rette da una impersonale ed indiscutibile razionalità. Le rare volte che appaiono ci confermano che tale razionalità, l’unica concepibile, regge un mondo forse non bello, ma certo il migliore dei mondi possibili.

 

Recentemente Elkann ha voluto ricordarci la funzione «performante» e di civiltà dei «gruppi (…) controllati da famiglie o dai loro fondatori» ed ha citato con orgoglio la lunga storia di progresso civile di cui i padroni, in questo caso dell’automobile, sono stati protagonisti. In perfetta continuità con quanto narravano di sé stessi i Masters protagonisti della rivoluzione industriale: «abbiamo un importante ruolo (…) da sostenere che fa di noi i grandi pionieri della civiltà» (E. Gaskell, Nord e sud, 1855). Ora, come allora, sono i padroni a porsi come la vera e sola classe generale.

 

QUESTO È il quadro di riferimento dominante condiviso dalla quasi totalità del ceto politico. E dunque il luogo della politica non è quello del conflitto tra diverse concezioni del rapporto tra economia e società, bensì la sfera dell’affermazione del tymos, del «riconoscimento» individuale e/o della continuazione degli affari con altri mezzi. Una sfera dove l’«imprenditore politico» shumpeteriano non è altro che un avventuriero.

 

La storia politica italiana degli ultimi decenni è stata il brodo di cultura ideale per manipoli agguerriti di tal tipo di avventurieri. Un panorama in cui Renzi, ben lungi dal rappresentare il «nuovo», si manifesta come il tardo e vecchio epigono delle ragioni sempiterne della legittimità assoluta e priva di contrappeso dell’accumulazione del capitale.

 

IL GOVERNO Conte, la cui caduta è stata pervicacemente perseguita dal Machiavelli di Rignano, non era certo il contrappeso necessario. Tuttavia aveva lanciato segnali (deboli) che non tutta l’accumulazione prodotta dalle diverse forme di plusvalore sarebbe andata ai «pionieri della civiltà». Nell’attuale fase della lotta di classe, però, coloro che stanno vincendo, i Masters, vogliono tutto il plusvalore fino all’ultima parcella, così come i loro predecessori, nella prima metà dell’Ottocento, avevano teorizzato che il profitto netto dei padroni si ricavava dall’«ultima ora di lavoro» dell’operaio.

 

Renzi ha ben compreso che solo mettendosi completamente al servizio di questa antica ed insieme ineliminabile logica del capitale, può attendersi gli spazi necessari per il suo tymos e per i suoi affari.

 

 

 

 

* Paolo Favilli

Candidato al Consiglio comunale di Lugano

FA Lugano

ForumAlternativo

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