Riforme a Cuba: la Chiesa dà una mano al PC?

di Roberto Livi, corrispondente dall’Avana

 

Il primo gennaio è scattata l’“ora zero”. E’ iniziata l’applicazione di una serie di riforme monetario-cambiarie ed economiche (la Tarea Ordenamiento) che il governo socialista aveva varato e sottoposto all’esame della popolazione già da due mesi.

Le misure hanno lo scopo di rilanciare l’economia cubana dopo la drammatica crisi (-11% del Pil) indotta dalla infausta accoppiata di Covid-19 e misure di strangolamento adottate dal presidente americano Donald Trump.

 

Messo in cantina il Cuc – la moneta convertibile voluta da Fidel – nell’isola ora circola solo il peso cubano al cambio fisso di 24 pesos per un dollaro Usa. L’uso di una sola moneta ufficiale (in una serie di negozi in tutta l’isola però si compra utilizzando il dollaro, ma mediante una carta di debito) costituisce la base monetaria di una serie di riforme – “le più profonde dall’inizio del secolo” – che comportano: la progressiva eliminazione di sussidi generalizzati (la libreta, una sorta di tessera annonaria per generi di prima necessità) e gratuità a favore di un’assistenza mirata per lo strato di popolazione più bisognoso; l’aumento di salari e pensioni (fino a cinque volte) per permettere di affrontare un inevitabile processo inflazionistico; maggiore autonomia sia alle imprese statali, sia ai comuni e alle provincie; una nuova legge sugli investimenti esteri e una che autorizza le piccole e medie industrie private.

 

L’obiettivo dichiarato di tali misure è quello di incrementare drasticamente la produzione nazionale e di far diventare il lavoro la fonte principale di sostentamento delle famiglie cubane, mediante un salario che consenta di vivere con dignità. Oltre che ad aprire prospettive di lavoro e vita che possano frenare l’esodo dei giovani.

 

E’ opinione generalizzata – anche nel dissenso – che si tratti di misure improcrastinabili per mantenere a galla il paese. Ma i cui effetti, anche se annunciati, colpiscono duro. Gli aumenti dei prezzi indotti dal nuovo cambio, seppur preannunciati, hanno causato commenti e reazioni pesantemente negative. Tanto che le autorità hanno deciso di ritoccare alcuni prezzi, dall’elettricità al gelato nella popolare gelateria Coppelia dell’Avana.

 

In previsione delle riforme, si è intensificata negli ultimi mesi la campagna dei gruppi anticastristi – sia in Florida sia in Spagna – per soffiare sul fuoco del malcontento. Il governo ha denunciato piani per armare una “rivoluzione colorata” – come quelle avvenute in alcuni paesi ex socialisti e arabi – per abbattere il governo socialista. Come in quelle occasioni, la leva scelta è quella di gruppi di artisti e/o intellettuali, come è il caso – secondo il governo – dell’autoproclamato Movimento di San Isidro, un piccolo gruppo di giovani (e praticamente sconosciuti) artisti alle cui richieste – libertà di espressione e chiusura dei negozi in dollari – le autorità hanno reagito a novembre con misure repressive. Misure criticate da una vasto settore di intellettuali e artisti che, pur non condividendo le idee politiche apertamente filo-Trump del Movimento, si sono espresse a favore di un dialogo sociale in nome della libertà di espressione.

 

L’anno e le riforme della Tarea Ordenamiento sono iniziati dunque in un clima di tensione e di malessere aperto della popolazione. In questo quadro, abbiamo chiesto a Enrique López Oliva, professore di Storia delle religioni dell’Avana e membro del Consiglio delle Chiese cristiane, se la Chiesa cattolica può esercitare, ed è interessata a farlo, un ruolo di mediazione a favore del dialogo sociale.

 

“La Chiesa cattolica è l’istituzione indipendente più antica (la sua presenza nell’isola risale al 1513), organizzata e di prestigio. Può dunque giocare un ruolo importante in tempi di crisi. Ruolo che gli è stato riconosciuto da Raúl Castro quando, nel 2010, trattò con il cardinal Ortega la liberazione di un centinaio di prigionieri di coscienza. Nel messaggio natalizio alla popolazione, i vescovi cubani hanno auspicato che il governo apra ‘un dialogo e un negoziato con coloro che hanno opinioni e criteri distinti’ dal vertice politico dell’isola. E’ un appello chiaro affinché il governo ‘metta da parte l’intolleranza’ e accetti ‘una sana pluralità’ di idee”.

 

 

Nell’isola vi è un movimento laico, cattolico o più in generale cristiano, che può veicolare e tradurre in pratica sociale le indicazioni dei vescovi?

Vi sono organizzazioni cattoliche di base che fanno riferimento alla Chiesa. Soprattutto in ambito culturale e sociale: per esempio organizzano corsi di formazione per chi vuole dar vita a una piccola o microimpresa, corsi di lingua, assistenza scolastica a figli di famiglie povere. Almeno una parte del vertice e del clero è interessata a incrementare questo lavoro sociale e dunque anche ad una sorta di presenza politica. Vi è infatti chi pensa alla possibilità, in un futuro, di dar vita a un movimento politico cattolico. Specie quella parte del clero che è più in contatto con la Chiesa degli Usa. La crisi però ha colpito duro anche la Chiesa cubana, che oggi si trova in difficoltà economiche.

 

Ad aprile vi sarà l’VIII congresso del Partito comunista cubano che segnerà la fine del processo di transizione verso una nuova generazione di dirigenti, visto che sia Raúl Castro sia altri dirigenti storici andranno in pensione. Pensa che il presidente Díaz-Canel e gli altri rappresentanti della nuova generazione siano disposti ad accettare l’invito al dialogo e a un “sano pluralismo”, come richiesto dai vescovi?

La profondità della crisi economica e il cambio generazionale del vertice politico della Rivoluzione convertono nella necessità di ridefinire un tale dialogo come processo essenziale della riconfigurazione dell’egemonia del Pc. Per questo credo che settori del governo e del vertice politico cerchino quelli che io definisco nuovi orizzonti.

 

Quali settori?

La nuova generazione. Capisce che non vi è alternativa alla tolleranza di idee. Altrimenti la situazione potrebbe diventare pericolosa. Del resto, al di là della narrativa dei gruppi anticastristi attivi in Facebook , il dialogo è un patrimonio della rivoluzione. Altrimenti non avrebbe resistito più di sessant’anni di fronte all’ostilità degli Usa.

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