Remdesivir, un esempio di sciacallaggio farmaceutico nella pandemia

di Franco Cavalli

 

Mentre scriviamo (articolo scritto ad inizio 2021), da noi infuriano giustamente le polemiche sia sui ritardi di Swissmedic nell’approvare almeno un secondo vaccino anti-Covid 19, che soprattutto sul caos che c’è stato a livello nazionale all’inizio della campagna di vaccinazione con il preparato Pfizer/Biontech – caos inspiegabile, dal momento che c’è stato tutto il tempo necessario per prepararsi adeguatamente.

A livello internazionale, invece, si discute soprattutto del fatto scandaloso che due terzi del mondo – quello più povero naturalmente – non avrà accesso per molto tempo ai vaccini nonostante tutti gli appelli e i programmi messi in moto – ma regolarmente falliti – da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma di questo parleremo in un prossimo numero dei Quaderni, anche perché come Forum siamo impegnati a sostenere un’iniziativa lanciata da diversi medici europei, tra cui Vittorio Agnoletto (che collabora regolarmente con noi), intitolata “No Profit on Pandemic”. Quest’iniziativa vuole raccogliere un milione di firme nei paesi dell’UE per costringere la Commissione Europea a non rispettare i brevetti sui vaccini durante questa situazione pandemica. Ciò potrebbe facilitare di molto l’impiego dei vaccini nei paesi a risorse ridotte.

 

Mentre su questo tema il dibattito è ancora in corso, già si possono tirare delle conclusioni su altri aspetti relativi a come diverse multinazionali farmaceutiche abbiano approfittato anche di questa situazione per fare profitti enormi. Ad inizio di dicembre, il British Medical Journal – una delle pubblicazioni mediche più autorevoli – ha riassunto la storia di come la ditta Gilead abbia guadagnato centinaia di milioni con il farmaco Remdesivir, un antivirale che era stato sviluppato come possibile terapia contro l’ebola e che la ditta aveva poi riciclato per la terapia contro il Covid. Vale forse la pena di ricordare che Gilead è già stata al centro di molte polemiche negli ultimi anni per i prezzi sproporzionati da lei richiesti per l’unico farmaco disponibile (per molto tempo) contro il virus dell’epatite C – una forma particolarmente pericolosa di epatite, diffusa soprattutto nei paesi poveri.

 

Il Remdesivir – lodato pubblicamente da Donald Trump in più occasioni – era stato incluso sin dall’inizio della pandemia negli studi clinici in vari paesi, anche se già a partire da metà aprile l’OMS aveva cominciato a mettere in dubbio la sua efficacia. Dopo essere stato usato in studi clinici anche in Svizzera durante la prima ondata, l’uso del farmaco è stato autorizzato ufficialmente all’inizio di luglio da Swissmedic, che lo raccomanda per i pazienti che soffrono di una polmonite da Covid che necessita di una ossigenoterapia. Quest’autorizzazione è stata confermata il 20 novembre. Neanche una settimana dopo, però, l’OMS commentava categorica: “il medicamento antivirale Remdesivir non è consigliato per i pazienti (Covid) qualsiasi sia lo stato di gravità della loro malattia, in quanto attualmente non c’è nessuna prova che ne migliori la sopravvivenza né che permetta di evitare l’intubazione”. Gli esperti dell’OMS – il cui giudizio non è ripreso nella dichiarazione ufficiale – vanno ancora più lontano e oltre a sottolineare il costo esorbitante del farmaco, mettono in guardia contro possibili effetti secondari molto pesanti.

 

Secondo la documentazione del British Medical Journal, solo in Europa si sono spesi centinaia di milioni di euro per comperare questo farmaco. Al riguardo, la rivista cita diversi episodi. Noi ci limitiamo a ricordarne uno: nonostante che il 2 ottobre scorso l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) si sia detta preoccupata per i possibili effetti secondari importanti del Remdesivir, cinque giorni dopo la Commissione Europea ne comandava 500’000 dosi, seguita a ruota da tutta una serie di governi nazionali.

 

I dati ufficiali dimostrano che solo durante il terzo trimestre del 2020 Gilead ha guadagnato circa 900 milioni di dollari grazie a questo farmaco, di cui una dose veniva venduta in media a 390 dollari, ma dovendo fare sei somministrazioni si arrivava a circa 2’500 dollari per paziente (il prezzo esatto in Svizzera non è sempre conosciuto). Secondo i dati pubblicati il 27 novembre da Le Monde, il costo di produzione del farmaco è di 0.93 dollari a dose, cioè meno di 6 dollari per un singolo paziente. Queste cifre non necessitano di ulteriori commenti: è evidente che siamo di fronte ad un classico caso di sciacallaggio. Purtroppo non è l’unico di cui si sono macchiati – e continuano a macchiarsi – i grandi monopoli farmaceutici.

Tratto da: