La nostra speranza nella ricostruzione, anche grazie agli aiuti internazionali

PIAZZA APERTA - Hortencia Amor Cantillo, Prospettiva SUD

A metà novembre dello scorso anno l’uragano Iota, classificato a forza 4, ha lambito le coste caraibiche, investendo soprattutto le isole di San Andrés e Providencia. Qui è stato distrutto il 98% delle strutture. 

 

 

Ecco la testimonianza di Hortencia Amor Cantillo, direttamente colpita dalla catastrofe.

 

Con mio marito e i miei due figli ho già affronta due uragani negli anni passati, ma non è stato niente in confronto a Iota, della cui forza non ci siamo subito resi conto. È stato terrificante. È arrivato di notte. La prima impressione, all’alba, è quella lasciata dalla distruzione e dalla devastazione. È come vivere uno stato di shock: è semplicemente impossibile credere a ciò che si ha davanti agli occhi.

 

Più nessun tetto sopra la testa

I livelli di distruzione erano così importanti che non sapevamo più da dove ricominciare. La mia famiglia ha perso la piccola pensione (posada) che ci permetteva di vivere (il turismo è da sempre fonte per il nostro sostentamento economico); anche il piccolo centro per bambini e adolescenti che gestivo è stato in gran parte distrutto.

Bisogna dire che molte persone hanno perso davvero tutto. Alcuni sono rimasti solo con quello che avevano addosso. Molti si sono rifugiati nelle poche case in cemento rimaste parzialmente in piedi. Poco dopo l’uragano, il governo ha inviato delle tende che purtroppo si sono rivelate di scarsa qualità; con le forti piogge l’acqua è penetrata dal suolo al loro interno. Si tratta di tende che andrebbero bene per qualche giorno, ma alcune persone ci vivono ormai dal 16 novembre e si lamentano perché tutto al loro interno è bagnato. Le persone che hanno ricevuto le tende le hanno sistemate sui pavimenti di cemento, dove prima sorgevano le loro case, o nei bagni, siccome alcuni di essi sono costruiti in cemento. Per le donne e gli uomini che hanno perso tutto le condizioni di vita sono molto difficili. La tempesta si è portata via tutto. Anche il nostro tetto, al secondo piano della casa, è stato completamente rimosso; ne abbiamo recuperate alcune parti, ma il resto nessuno sa dove sia finito. In ogni caso siamo stati fortunati.

 

Un po’ di fortuna nella nostra sfortuna

All’incirca una settimana dopo la tempesta è arrivata un’ONG che ha iniziato a distribuire un pasto caldo al giorno. Il suo personale alloggia in diverse parti dell’isola. Qui a San Felipe, si sono installati nella chiesa cattolica; a mezzogiorno suonano le campagne e la gente si reca a prendere il pranzo e un frutto. La squadra è sempre presente, ma anche per loro non è facile perché il cibo è preparato a San Andrés e poi trasportato in aereo sull’isola di Providencia. I soccorritori stanno cercando delle soluzioni per preparare i pasti sul posto e aggirare gli intoppi connessi alla complicata logistica che spesso provocano ritardi nella fornitura degli alimenti. Grazie a Dio, finora, abbiamo beneficiato del loro sostegno!

Il governo s’impegna in prima linea a fornire i tetti alle case che sono rimaste ancora in piedi; molti di essi sono il frutto di donazioni da parte di privati. I tetti sono installati con l’aiuto dell’esercito, della polizia nazionale, della marina e dell’aereonautica, della protezione civile e della Croce Rossa. Tutti questi attori e queste organizzazioni sono sul posto per contribuire alla ricostruzione. Il processo è però molto lento, soprattutto per coloro che hanno subito la distruzione completa della propria casa e che attendono il loro turno per il sostegno. Per le persone che si ritrovano con la casa solo parzialmente danneggiata, la ricostruzione potrà essere più rapida, ma non conosciamo le tempistiche effettive. Nel frattempo tutti riflettono sul da farsi ed elaborano piani d’azione. Stiamo facendo tutto il possibile per velocizzare il processo. Evidentemente per determinate attività dipendiamo dall’aiuto: per ripristinare le spiagge abbiamo bisogno di macchinari e sulle coste, in particolare, ci sono molti detriti che non possiamo rimuovere da soli.

 

Restiamo qui

La natura impiegherà ancora più tempo per riprendersi. Qui ci sono alcuni alberi molto alti: li chiamiamo «cotton trees». Vivo sull’isola da 26 anni e li ho da sempre ammirati. Sono dei giganti dai tronchi molto possenti; devono essere molto vecchi. Ora molti di questi alberi sono stati completamente sradicati, alcuni sono rimasti in piedi ma hanno perso tutti i loro rami e le loro foglie. Ci vorranno parecchi anni per vederli ricrescere. Anche le barriere coralline sono state distrutte e ci vorrà molto tempo per la loro riabilitazione.

Ogni anno, da luglio alla fine di novembre, arriva la stagione degli uragani. La paura è sempre con noi e sarà difficile superare un altro uragano di questa intensità. Non siamo i soli in questa situazione; le coste degli Stati Uniti, il Messico e il Nicaragua sono anch’essi esposti al rischio di uragani. Siamo consapevoli del fatto che catastrofi di questo genere possono avvenire di continuo. Come sostiene anche mio marito, d’ora in poi ogni casa dovrebbe avere una stanza costruita in cemento dove potersi rifugiare. In ogni caso le catastrofi accadono in tutto il mondo, terremoti e così via.

Qualcuno mi ha chiesto se avessi voluto lasciare Providencia. Ho risposto di no perché di pericoli ce ne sono di ogni sorta in tutto il mondo. È triste e fa male, ma siamo qui e ci restiamo. L’isola di Providencia era il nostro piccolo paradiso e faremo tutto il possibile per farla ritornare tale.

 

 

 

(Traduzione di Zeno Boila)