di Federico Franchini
Il prossimo 13 di giugno si voterà sulla revisione totale della Legge sul CO2. La riforma, approvata in autunno dalle Camere federali, è stata attaccata in referendum dall’Udc, da alcune lobby padronali e da una minoranza di sinistra.
Oltre all’impatto sull’ambiente, tra favorevoli e contrari vi sono divergenze importanti sui costi che la legge comporterà sulla cittadinanza. Vediamo di farci largo in questa giungla di cifre dove non mancano i conflitti d’interesse.
«La legge sul CO2 sarà molto costosa per il Popolo svizzero, soprattutto per il ceto medio e l’economia (...) Per una famiglia di quattro persone, questo significherebbe costi aggiuntivi di circa 1.500 franchi all’anno». Albert Rösti e il suo partito, l’Udc, non hanno dubbi: la riforma avrà l’effetto di una mannaia sul budget delle famiglie elvetiche. L’ex presidente del primo partito in Svizzera è in prima fila nella campagna contro la legge sul CO2. La leva su cui appoggiarsi? Il costo per la popolazione, in particolare quella “rurale”. Albert Rösti è anche il presidente di Swissoil, l’associazione nazionale dei commercianti di carburanti. Ossia, uno dei settori più toccati dalla riforma legislativa. In effetti, l’obiettivo della legge è quello di vietare nuovi impianti di riscaldamento a nafta. Vi sarà anche un aumento della tassa sul CO2 che, però, verrà in parte ridistribuita alla popolazione (sconto sui premi dell’assicurazione malattia) e in parte finanzierà la transazione energetica degli edifici. Ciò che avrà un impatto negativo sui commercianti di carburanti rappresentati da Albert Rösti.
In prima linea contro la legge, l’Udc (ma anche parte del Ppd e del Plr) è impregnata di lobbisti dei settori minacciati dall’entrata in vigore della legge. Ueli Bamert, deputato nel Gran Consiglio zurighese, è il coordinatore della campagna. È anche direttore di Swissoil e responsabile politico di Avenergy, l’associazione che raggruppa le multinazionali del petrolio presenti in Svizzera come Shell, Bp, Total, Eni o l’imbarazzante Socar. Sono loro che finanziano la costosa campagna. Non a caso: un altro obiettivo della legge è quello di ridurre i consumi di benzina tramite nuovi criteri d’importazione dei veicoli e attraverso maggiori compensazioni da parte degli stessi importatori di carburanti. Questi ultimi potranno rivalersi con una sovrattassa sulla benzina. Ovvio, quindi, che le multinazionali del petrolio che gestiscono le stazioni di servizio vedano la riforma come nociva per i propri interessi.
Ma per gli automobilisti, per chi è costretto a prendere l’auto per andare a lavorare, quale sarà l’impatto? L’impatto sarà minimo secondo le previsioni di Bruno Storni, consigliere nazionale per il Ps: «La compensazione del CO2 che gli importatori di carburanti dovranno attuare oltre a quanto già in vigore, non influirà sui costi della mobilità». Per il politico ticinese, che è anche vicepresidente dell’Associazione traffico e ambiente (Ata), bisogna inoltre considerare che da qui al 2030 il consumo medio delle automobili scenderà ben oltre a quanto costerebbe in più la benzina: «Con il nuovo parco veicoli non ci sarà una maggior spesa per il pieno, anzi, vista l’evoluzione nei consumi delle automobili, il costo al chilometro diminuirà».
In relazione alla campagna sulla legge sul CO2, Avenergy ha lasciato Economiesuisse – favorevole alla riforma – per raggiungere l’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (Usam), presieduta da Fabio Regazzi e fermamente contraria. Lo stesso consigliere nazionale del Ppd ha anch’egli parlato di oneri supplementari che, per una famiglia, potrebbero arrivare a 1.500 franchi. Peccato che lo stesso Fabio Regazzi sia membro di comitato (remunerato) di due altre associazioni fortemente toccate dalla riforma: gli importatori di automobili (auto-schweiz) e gli autotrasportatori (Astag). Insomma, le cifre portate avanti dal campo degli oppositori vanno prese con le pinze data la loro funzionalità ad interessi particolari.
>>Vedi anche: Una legge, due sfumature di verde (parte 1)
Per avere un giudizio più oggettivo, ci siamo così rivolti all’Unione sindacale svizzera (Uss) a cui l’impatto finanziario della riforma sulle famiglie sta naturalmente più a cuore che ai lobbisti del petrolio. Il comitato dell’Uss ha deciso all’unanimità di raccomandare un “sì” alla legge. «Una politica climatica efficace non è solo assolutamente necessaria, ma è anche chiaramente nell’interesse delle lavoratrici e dei lavoratori» ci spiega Reto Wyss, responsabile del dossier per l’unione. In effetti, la legge non solo premia i comportamenti rispettosi del clima, ma ridistribuisce una parte delle nuove tasse d’incentivazione alla popolazione. Per Reto Wyss ciò avrà un impatto positivo: «Le famiglie a basso reddito (e quindi le famiglie a basse emissioni) alla fine riceveranno più denaro nel medio termine di quanto hanno pagato e, in alcuni casi, vedranno il loro onere aumentare nel lungo termine al massimo di una piccola quantità». Per l’esperto «la ridistribuzione della tassa attraverso i premi dell’assicurazione malattia beneficerà i lavoratori a basso reddito». Questo è un punto importante poiché il costo mensile dell’assicurazione malattia pesa già molto di più sul bilancio delle cittadine e dei cittadini, rispetto a un eventuale aumento legato alla legge sul CO2.
>> Vedi anche: Una legge, due sfumature di verde (parte 2)
Non è un caso se anche l’Associazione delle consumatrici e dei consumatori della Svizzera italiana (Acsi) sia a favore della legge: «L’Acsi sostiene la legge sul CO2 in quanto pone le basi per l’adozione di misure equilibrate ed eque contro il riscaldamento climatico. L’impatto finanziario concreto sui singoli consumatori dipenderà dal comportamento di ognuno. Chi contribuisce a produrre molto CO2 (frequenti viaggi in aereo, riscaldamento a gasolio inefficiente, veicoli che consumano molto carburante) pagherà di più. La stessa famiglia che non possiede un’automobile, riscalda con una pompa a calore e non effettua voli aerei risparmierebbe invece 720 franchi in un anno (2 franchi al giorno). L’impatto finanziario sarebbe quindi generalmente piuttosto limitato e i consumatori meno “energivori” potrebbero addirittura risparmiare parecchio. E tutti beneficeranno di un ambiente migliore» ci spiega Evelyne Battaglia-Richi, presidente dell’Acsi.
Nelle cifre pubblicate nell’ambito di questa campagna di voto, il Consiglio federale ha calcolato che una famiglia di quattro persone vedrebbe i suoi costi aumentare al massimo di circa 100 franchi all’anno. Un importo tutto sommato accettabile e che verrebbe ridotto qualora si adottassero pratiche più sostenibili: un’auto elettrica, la rinuncia all’aereo o un sistema di riscaldamento che non genera CO2 andrebbero ad aumentare i benefici di una famiglia nel bilancio dare-avere di una legge. Insomma, la spinta è quella di far cambiare le vecchie e nocive abitudini di tutti. Certo, la riforma non è perfetta, ma – figlia di un equilibro parlamentare comunque orientato a destra – non lo è soprattutto per gli aspetti climatici. La sua bocciatura, però, comporterebbe uno status quo che avvantaggerebbe ancora dinosauri inquinanti come Albert Rösti o Fabio Regazzi. In barba all’ambiente, alle lavoratrici e ai lavoratori.
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