di Mirko D’Urso*
Durante le ultime elezioni comunali, una della frasi più gettonate dai candidati è stata “Sosteniamo la cultura” ed è stato uno slogan utilizzato trasversalmente, da sinistra a destra, passando per il centro.
E’ vero, so perfettamente che molto di ciò che viene promesso in campagna elettorale raramente diventa poi realtà. Non sono nato ieri e so come funzionano le cose. Promettere è facile. Mantenere una promessa un po’ meno. In tutti i campi.
Questa volta però è diverso. E’ in ballo qualcosa di più importante della semplice questione “etica”. E’ in ballo il futuro di una parte molto importante della cultura ticinese. Mi riferisco alla sopravvivenza dei teatri, soprattutto quelli privati, alle tante compagnie teatrali professioniste del territorio, a molti gruppi musicali della nostra regione, ma anche alle scuole artistiche, alle sale cinematografiche e ai musei privati che, inutile negarlo, rischiano di dover cessare la propria attività se la situazione non muta velocemente.
In queste settimane, dopo la riapertura dei teatri con un numero massimo di 50 spettatori, ho assistito a 6 spettacoli. A Lugano e a Bellinzona. Ad eccezione del debutto (replica secca) della nuova produzione della Compagnia Collettivo Treppenwitz al Teatro Sociale e per la replica de "Il fondo del sacco, produzione Teatro Sociale, andata in scena al Teatro Foce, dove i 50 posti disponibili sono stati occupati totalmente, per gli altre 4 spettacoli le poltrone vuote sono rimaste tante. Troppe.
E stiamo parlando di un limite massimo di 50 persone. Ripeto, 50. Non 200, non 300, non 1000. Ma 50.
Prima dell’avvento della pandemia, quando ad uno spettacolo assistevano 50 persone o poco meno si utilizzava la parola “forno” che, nel nostro gergo teatrale, stava a significare che a livello di presenze in sala era stato un fallimento. Ora con 50 persone in sala…si festeggia.
Quello che più mi è dispiaciuto è stato il fatto di non vedere nessun politico di rilievo in platea e non me ne voglia qualche candidato presente che magari non ho riconosciuto. Dov’erano? Dov’erano i rappresentanti delle istituzioni? Dov’erano i presidenti di partito? Dov’erano tutti quelli che difendendo la cultura e il sostegno ai giovani sono magari anche stati eletti?
Io frequento le sale teatrali ticinesi da circa 22 anni e le persone presenti in platea….erano sempre le stesse facce note.
Certo… questi spettacoli non si svolgevano al LAC o al Palazzo dei Congressi e certamente non rappresentavano una vetrina importante per i nostri politici e funzionari di spicco, ma ammetto che mi ha particolarmente infastidito constatare questa “mancanza”, questo vuoto istituzionale.
Se penso a quante parole sono state spese in questi mesi a sostegno della cultura, mi commuovo quasi, ma la verità è che questo settore non va sostenuto (solo) a parole. E non parlo di sostegno economico perché i pochi ma preziosi aiuti ricevuti sono serviti a molte realtà unicamente a sopravvivere e a non sprofondare definitivamente dopo un anno e mezzo di “silenzio” artistico.
No, parlo di sostegno concreto. Se si vuole salvare questa enorme ricchezza per il cantone, ciò che conta è ESSERCI.
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Noi abbiamo bisogno di voi in carne ed ossa. Abbiamo bisogno di voi in platea, abbiamo bisogno che riempiate le sale cinematografiche (quelle poche aperte), abbiamo bisogno della vostra presenza alle mostre. Di questo abbiamo bisogno.
E lo dice un artista “privilegiato” che non vive di soli spettacoli e che, pur avendo subito un contraccolpo non da poco, non rischia di chiudere la propria attività produttiva, formativa e didattica. Ma a differenza del sottoscritto, sono tante le realtà che stanno raschiando il fondo del barile e che rischiano di dover dichiarare fallimento. E so che chi non è di questo mondo non condividerà queste mie parole, ma quando fallisce un’attività artistico-culturale, la perdita è doppia perché ad uscirne perdente e impoverita è anche la popolazione.
Quello che più spaventa noi operatori culturali è il timore che la gente, anche quella che solitamente frequentava questi luoghi culturali, abbia ormai perso l’abitudine a ritagliarsi un paio d’ore per dedicarle all’arte. Alla classica…uscita artistica.
E se non dovesse tornare? E se restasse chiusa in casa guardando un qualche spettacolo teatrale su internet, un qualche film su netflix o una qualche mostra su Sky Arte? E se la pigrizia avesse preso per davvero il sopravvento?
Questo ci spaventa. Ci spaventa dover essere felici per il fatto di avere avuto 30-40 persone in sala. Perché a lungo andare, con 30 o 40 persone in sala….non si sopravvive. Artisticamente parlando.
“L’arte non insegna nulla, se non il senso della vita” - Henry Miller
*Mirko D’Urso
Attore, Regista e
Direttore del Centro Artistico MAT