Chernobyl, 35 anni dopo. Ricordi per il futuro

di Beppe Savary-Borioli*

 

Ticino, il cantone più colpito

Nell’aprile del 1986 ero da tre anni medico di condotta nella Valle Onsernone. In televisione avevamo visto le immagini drammatiche della catastrofe avvenuta alla centrale nucleare di Chernobyl. 

Le condizioni del vento avevano poi portato una parte consistente della ricaduta radioattiva nell’Italia settentrionale e nel Ticino, più colpiti rispetto al lato nord delle Alpi. 

 

Le sirene d’allarme tacevano, da Bellinzona arrivavano solo messaggi molto scarsi e anche questi erano poco ascoltati dalla maggior parte della popolazione, anche perché non si era vista nessuna “nube tossica” e non era stato percepito nessun odore inusuale. In quel periodo si era inoltre fatto un bel tempo primaverile. I figli dei nostri vicini, una coppia di “neorurali” svizzero-americana, giocavano allegramente nella sabbia e tiravano su nuvole di polvere. I loro genitori non avevano voluto prendere sul serio i miei consigli di stare in casa e di non far uscire i bambini.

 

 

 

La nostra reazione alla minaccia delle radiazioni…

 

Mi ero consultato con mio padre su come potevamo proteggerci. Egli era un medico di campagna nella valle del Reno sangallese, per anni molto attivo nella lotta contro il progetto “AKW Rüthi”, la centrale nucleare che sarebbe dovuta sorgere nella regione. Si era informato a fondo sulla problematica ed era diventato un convinto e convincente oppositore all’energia nucleare. Lui, così come Rinaldo Roggero, un geniale professore di fisica al Liceo di Locarno, mio amico, mi consigliarono di stare il più possibile in casa durante quei giorni a seguito del disastro e di evitare il contatto ravvicinato con il suolo contaminato dal fallout radioattivo a causa delle radiazioni alfa. A quel tempo, nostra figlia Medea, di tre anni, non riusciva a capire perché dovesse stare in casa e non le fosse permesso giocare con i bambini dei vicini.

 

Nelle settimane e nei mesi seguenti, il “Caso Chernobyl” scomparve dai media, non senza che fosse stato sottolineato in precedenza che un tale incidente non poteva accadere in Svizzera perché le nostre centrali nucleari erano state progettate dagli Americani e non dai Russi, che erano state costruite da imprese svizzere ed erano gestite da competenti esperti svizzeri. La guerra fredda concerneva ormai anche le “centrali atomiche”, e non solo le “bombe atomiche”, distinguendo anche in questo campo le “buone” dalle “cattive”.

 

 

 

…e quella delle autorità

 

Le autorità svizzere preferirono ovviamente glissare sull’ampio fallimento dell’allarme e complessivamente dell’intera strategia nazionale di “difesa integrata”, che aveva recentemente sostituito la “difesa totale”, e le critiche ad essa furono liquidate come le “solite balle” degli oppositori dell’esercito e di altri traditori della patria. Inoltre, i costosi “rifugi-bunker antiatomici”, obbligatori per legge (per la grande gioia della lobby del mattone), continuavano ad essere betonati nei nuovi edifici, anche se in questa situazione non avevano protetto dall’aria contaminata delle polveri radioattive e si erano dimostrati tutto sommato abbastanza inutili. Per l’orrore dei difensori nazionali svizzeri, dei protettori dello Stato e dei patrioti ad oltranza, la ricaduta nucleare (proveniente dall’Unione Sovietica!) non rispettava le nostre frontiere nazionali, esattamente come fa oggi la pandemia scatenata dal Covid-19 (proveniente dalla Cina!).

 

Mentre le autorità svizzere avevano proibito la pesca nelle acque svizzere dei laghi di Lugano e di quello Maggiore dal settembre 1986 al luglio 1988, la pesca nei bacini italiani era continuata senza restrizioni ed il pescato veniva acquistato pure dai pendolari della spesa ticinesi. Il consumo di funghi provenienti da raccolte locali era stato sconsigliato. Tuttavia, i funghi conditi al cesio radioattivo avrebbero avuto il solito buon sapore, mi venne detto dai miei amici “fungiatt” che non volevano capire che per ora preferivo mangiare il risotto senza funghi.

 

Il governo ticinese si lavò le mani in modo pilatesco quando in autunno permise la caccia, nonostante i pareri contrari degli esperti. Ad ignorare gli avvisi degli specialisti in materia sarebbero poi stato anche vari governanti 35 anni più tardi nel contesto Covid-19. Era meglio agire in questa maniera, ci fu detto allora, perché altrimenti si sarebbe dovuto assistere ad un bracconaggio importante e così il cantone avrebbe almeno salvato le tasse per le patenti di caccia. Anche qui, i paralleli con l’attuale pandemia non mancano: il lockdown, pur essendo favorevole per la sanità, sarebbe invece deleterio, se non addirittura “mortale”, per l’economia, come ci dicono oggi Economiesuisse e Gastrosuisse, l’USAM e il Consiglio Federale. Tutto sommato, in materia di preparazione e di gestione delle crisi e di uno dei suoi aspetti più importanti, cioè della comunicazione, di progressi a livello governativo negli ultimi 35 anni non ne sono stati fatti molti.

 

 

 

Chernobyl e Fukushima: “non c’è il due senza il tre” recita un detto popolare ticinese

 

Mio padre, come tantissimi anni prima di lui Cassandra, fu molto triste di constatare che i suoi continui avvertimenti contro un ulteriore possibile, se non probabile “GAU” (incidente massimo ipotizzabile) nucleare si fossero avverati a Fukushima 25 anni dopo Chernobyl, ancora più lontano dal nostro paese, ma ciononostante molto sentito pure da noi. E però, come avvenne per la catastrofe di Chernobyl, fu ancora più facile mandare il disastro di Fukushima “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, non da ultimo per la sua distanza geografica. “Non c’è il due senza il tre”, dice tuttavia il famoso detto ticinese. Per scongiurare il ripetersi di una tale catastrofe, con conseguenze globali e millenarie, nella “nostra” antica centrale nucleare di Beznau – la più vecchia al mondo ad uso civile – o in qualsiasi altro impianto al mondo per la produzione di energia nucleare o di materiale radioattivo, dobbiamo abbandonare subito questa tecnologia. Ed è a questo obiettivo che lavoriamo noi medici del PSR/IPPNW Svizzera.

 

Se oggi la lobby dell’energia nucleare continua a difendere i suoi interessi servendosi persino di presunti argomenti ecologici, noi la consideriamo un pericolosissimo vicolo cieco. I veri ambientalisti non dovrebbero lasciarsi ingannare. L’energia nucleare deve essere vietata sia in campo militare che in campo civile, e prima lo si fa, meglio è. Non dimentichiamo mai Chernobyl e Fukushima, e non diamo retta ai canti delle sirene che vogliono sminuire le conseguenze di un disastro nucleare militare o civile!

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